Discepoli e comunità nel vangelo di Marco.

Discepoli e comunità nel Vangelo di Marco
1. Premessa.
L’azione e il messaggio di Gesù si intrecciano con il tessuto storico di reazioni umane di accoglienza e rifiuto, adesione e sospetto, entusiasmo e perplessità. Attorno alla sua persona in continuo movimento, secondo la presentazione che ne fa Marco, si alternano la folla, i discepoli, i parenti, gli avversari. Ma nel secondo vangelo assume particolare rilievo il rapporto Gesù-discepoli. I discepoli chiamati da Gesù fanno tutt’uno con la sua persona e la sua missione, sono i destinatari di molte istruzioni e rivelazioni in privato; con essi Gesù discute e chiarisce il suo progetto e le sue scelte. Molti problemi che stanno a cuore a Marco o che egli vuole chiarire per la comunità cristiana formano l’oggetto di queste istruzioni o dialoghi tra Gesù e i discepoli. Allora l’insistenza di Marco sui discepoli rivela anche la sua preoccupazione e attenzione alla vita della comunità cristiana. Quindi per comprendere quale progetto di chiesa derivi dal secondo vangelo si devono esaminare il ruolo, le condizioni e le caratteristiche dei discepoli.
2. Ruolo e condizione dei discepoli.
Il modello sociologico giudaico, al quale poteva ispirarsi Gesù, è quello del rabbi o maestro attorno al quale si raccolgono alcuni seguaci o studenti. Questi vivono per un certo tempo insieme con il maestro e ne ascoltano le istruzioni. Ma Gesù si distingue da questo modello perché, a differenza dei rabbi, è lui stesso he chiama alcuni uomini al suo seguito con la stessa autorità e libertà con cui Dio ha chiamato i profeti biblici. Gli attuali racconti di vocazioni riportati da Marco, anche se sono standardizzati a scopo esortativo o paradigmatico, mettono bene in luce questa novità: l’essere discepoli risale all’iniziativa di Gesù (Mc 1,16.20; 2,13; 3,13). Il ruolo del discepolo è determinato dallo scopo della chiamata: stare con Gesù per condividerne il destino e la missione (Mc 3,14: “Quindi ne costituì dodici perché stessero con lui e potesse mandarli a predicare”). In altre parole, il discepolo è un uomo totalmente coinvolto con Gesù e come lui impegnato nell’annuncio del regno non solo con le parole ma con una scelta di vita.
Da qui derivano le condizioni per essere discepoli: la piena libertà rispetto al passato, libertà da vincoli e legami di parentela (Mc 3,31-35: “Nel frattempo giunsero i suoi fratelli e sua madre e, fermatisi fuori, lo mandarono a chiamare. Or la folla sedeva intorno a lui; e gli dissero: «Ecco, tua madre e i tuoi fratelli sono là fuori e ti cercano». Ma egli rispose loro, dicendo: «Chi è mia madre, o i miei fratelli?». Poi guardando in giro su coloro che gli sedevano intorno, disse: «Ecco mia madre e i miei fratelli. Poiché chiunque fa la volontà di Dio, questi è mio fratello, mia sorella e madre»); libertà dalla proprietà, la povertà come disponibilità alla missione (Mc 6,8-11: “E ordinò loro che non prendessero nulla per il viaggio, eccetto un bastone soltanto: né sacca né pane né denaro nella cintura; e che fossero calzati di sandali e non indossassero due tuniche. Disse loro ancora: «Dovunque entrate in una casa, fermatevi lì, finché non partiate da quel luogo. Se poi alcuni non vi ricevono e non vi ascoltano, andando via di là, scuotete la polvere dai vostri piedi in testimonianza contro di loro. In verità vi dico che nel giorno del giudizio Sodoma e Gomorra saranno trattate con più tolleranza che quella città»; 10,23-30: “Allora Gesù, volgendo lo sguardo attorno, disse ai suoi discepoli: «Quanto difficilmente coloro che hanno delle ricchezze entreranno nel regno di Dio!». E i discepoli sbigottirono alle sue parole. Ma Gesù, prendendo di nuovo la parola, disse loro: «Figli, quanto è difficile, per coloro che confidano nelle ricchezze entrare nel regno di Dio. È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio». Ed essi, ancora più stupiti, dicevano fra di loro: «E chi dunque può essere salvato?». Ma Gesù, fissando lo sguardo su di loro, disse: «Questo è impossibile agli uomini, ma non a Dio, perché ogni cosa è possibile a Dio». E Pietro prese a dirgli: «Ecco, noi abbiamo lasciato ogni cosa e ti abbiamo seguito». Allora Gesù, rispondendo, disse: «Io vi dico in verità che non c’è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o padre o madre o moglie o figli o poderi per amor mio e dell’evangelo, che non riceva il centuplo ora, in questo tempo, in case, fratelli, sorelle, madre, figli e poderi, insieme a persecuzioni e, nel secolo a venire, la vita eterna”). Una disponibilità che arriva fino a rischiare la propria vita al seguito di Gesù, che va verso una fine violenta. Sotto l’occupazione romana il discepolo rischia la pena capitale, la morte di croce, dato che si impegna in un movimento messianico (cfr. Mc 8,34: “Poi chiamata a sé la folla con i suoi discepoli, disse loro: «Chiunque vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua”).
È questa compromissione con il destino messianico di Gesù, che spiega la situazione apparentemente contraddittoria del gruppo dei discepoli nel rapporto con il maestro. Da una parte Gesù riserva al gruppo chiarimenti e spiegazioni in privato, da soli, in casa (cfr. Mc 4,10-12; 7,17-18; 9,28-29: 10,10-12); dall’altra Gesù stesso pone in evidenza senza troppi riguardi l’ottusità e l’incomprensione dei suoi amici (Mc 4,13.39; 7.18: 8,17.21-33; 10,38); in altri casi è Marco che rileva lo stupore e l’imbarazzo o l’estraneità dei seguaci intimi di fronte ai gesti e alle parole di Gesù (Mc 6,51-52; 9,6.32; 10,32; 14,40). Se si osserva attentamente, si passa dall’incomprensione allo stupore e alla paura man mano che la vicenda di Gesù si avvia alla sua conclusione tragica. In breve, la reazione spirituale, emotiva dei discepoli è la risonanza immediata al destino e compito di Gesù, un destino ed un compito che sconvolgono e vanno oltre gli schemi e le aspettative umane.
In altri termini, Marco vede riflesso il mistero di Gesù nella vita del gruppo raccolto attorno alla sua persona. Ma al di là di questa preoccupazione cristologica vi è anche un’attenzione ecclesiale e comunitaria. Nell’evangelo di Marco i discepoli sono un’occasione per parlare di Gesù e del suo ministero, ma sono anche una realtà importante perché anticipano la situazione e i problemi della comunità alla quale Marco si rivolge.
3. I discepoli e la comunità cristiana.
Il ruolo e le condizioni o caratteristiche dei discepoli si prolungano nella vita di tutti i credenti, anche se questi non seguono più Gesù sulle strade della Palestina. Marco non distingue sempre, nelle istruzioni di Gesù ai discepoli, ciò che riguarda i discepoli storici e ciò che riguarda ora la sua comunità. Ma le sue insistenze e sottolineature ci fanno intuire i problemi che si agitano nella sua chiesa e, di riflesso, anche la risposta e il messaggio che l’evangelista intende comunicare.
Il modello del discepolo, che rischia la vita per la fedeltà a Gesù e al vangelo (cfr. 8,34-37: “Poi chiamata a sé la folla con i suoi discepoli, disse loro: «Chiunque vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua, perché chiunque vorrà salvare la sua vita, la perderà; ma chi perderà la sua vita per amor mio e dell’evangelo, la salverà. Che gioverà infatti all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde l’anima sua? O che cosa potrebbe dare l’uomo in cambio dell’anima sua?”), che rischia di essere condotto davanti al tribunale per confessare pubblicamente la sua fede (Mc 8,38; 13,11-13), trascrive la situazione di una comunità esposta alla persecuzione. La paura e lo sconcerto davanti alla prospettiva di sofferenza, persecuzione o morte non deve far dimenticare che questa è la condizione del discepolo credente al seguito di Gesù, il quale affronta con fedeltà e decisone la sua morte violenta.
Anche la caratterizzazione del compito dei discepoli sul modello di Gesù, come inviati ad annunciare, fa emergere la preoccupazione missionaria di una chiesa di frontiera, che deve non solo testimoniare ma annunciare pubblicamente il vangelo.
Infine, ma non meno importante, il ruolo dell’autorità nella chiesa è definito dal tema ricorrente dell’accoglienza dei piccoli e dall’immagine del servo. Le discussioni intraecclesiali circa le precedenze e il prestigio religioso devono essere confrontate con i gesti e le parole di Gesù: la sua preferenza data ai piccoli, cioè a quelli che sono senza ruolo, senza diritti e senza prestigio, indica chiaramente il criterio per valutare il comportamento dei credenti e suggerirne le relative scelte (Mc 9,35.42-50; 10,14-16). Chi ha autorità e responsabilità di guida tra i credenti non si ispiri a una teoria sul servizio o ad un atteggiamento generico di umiltà, ma al servo, che mette a repentaglio il prestigio, la sicurezza e la vita stessa per la libertà e la salvezza dei membri della comunità (Mc 10,42-45: “Ma Gesù, chiamatili a sé, disse loro: «Voi sapete che coloro che sono ritenuti i sovrani delle nazioni le signoreggiano, e i loro grandi esercitano dominio su di esse; ma tra voi non sarà così; anzi chiunque vorrà diventare grande tra voi, sarà vostro servo; e chiunque fra voi vorrà essere il primo, sarà schiavo di tutti. Poiché anche il Figlio dell’uomo non è venuto per essere servito, ma per servire e per dare la sua vita come prezzo di riscatto per molti»”). Quali che siano le situazioni storiche e i modelli culturali, quello che i primi o i più grandi nella comunità non devono imitare è il modello di potere e di dominio che caratterizzava i capi dei popoli. Il gruppo qualificato dei dodici, che nell’intenzione di Gesù inaugura il vero Israele, ha sì il potere come Gesù ma per scacciare i demoni, cioè per liberare gli uomini dal prepotere demoniaco., che come tiranno potente tiene l’uomo schiavo nella sua casa (cfr. Mc 3,22.26-27; 3,15; 6,7.13). I dodici condividono il compito dell’unico pastore Gesù, che si prende cura di un popolo disperso e senza guida (Mc 6,34: “E Gesù, sbarcato, vide una grande folla e ne ebbe compassione, perché erano come pecore senza pastore; e prese a insegnare loro molte cose”), mediante l’insegnamento e la preparazione del banchetto messianico (Mc 6,35-44).
Infine essi hanno il privilegio di essere associati in prima persona al destino di persecuzione e di dolore, che è proprio del Figlio dell’uomo (Mc 10,35-40: “Allora Giacomo e Giovanni, figli di Zebedeo, si accostarono a lui, dicendo: «Maestro, noi desideriamo che tu faccia per noi ciò che ti chiederemo». Ed egli disse loro: «Che volete che io vi faccia?». Essi gli dissero: «Concedici di sedere uno alla tua destra e l’altro alla tua sinistra nella tua gloria». E Gesù disse loro: «Voi non sapete quello che domandate. Potete voi bere il calice che io berrò ed essere battezzati del battesimo di cui io sono battezzato?». Essi gli dissero: «Sì, lo possiamo». E Gesù disse loro: «Voi certo berrete il calice che io bevo e sarete battezzati del battesimo di cui io sono battezzato, ma quanto a sedere alla mia destra o alla mia sinistra, non sta a me darlo, ma è per coloro ai quali è stato preparato»”). Del resto è questa la strada seguita da Gesù per diventare Signore, pastore e guida della comunità dei credenti (Mc 14,27-28: “E Gesù disse loro: «Voi tutti sarete scandalizzati di me questa notte, perché sta scritto: “Percuoterò il Pastore e le pecore saranno disperse”. 28 Ma dopo che sarò risuscitato, io vi precederò in Galilea»”). Chi ne prolunga la presenza non può onestamente coltivare una prospettiva diversa.