Il metodo storico-grammaticale. Una terza via per l’esegesi.

SOMMARIO
1. INTRODUZIONE
2. IL METODO STORICO-CRITICO
a) Le caratteristiche
b) I principi fondamentali
c) L’itinerario esegetico
d) Insufficienza del metodo storico-critico
3. IL LETTERALISMO
a) Criteri e caratteristiche
b) Limiti
4. LA TERZA VIA: IL METODO STORICO-GRAMMATICALE
a) Premesse
b) Origini del metodo
c) Caratteristiche
d) Principi espositivi
1. Senso letterale
2. Analisi del genere
3. Metafora
4. Critica testuale
5. Autore e data
6. Errori grammaticali
5. CONCLUSIONI
6. APPENDICI
7. BIBLIOGRAFIA

1. INTRODUZIONE.
Se si procede con l’esaminare la teologia biblica con atteggiamento scevro da pregiudizi di ordine ideologico, si troverà che tale disciplina può spiegarsi tranquillamente con due metodologie diametralmente opposte eppure coerenti in se stesse. La prima è quella che si avvale del cosiddetto metodo storico-critico e afferente all’area progressista e liberale della teologia protestante. Esso si avvale dei moderni strumenti scientifici per la sua indagine teologica. La seconda fa capo all’area conservatrice ed ortodossa che, seppur avvalendosi di alcuni metodi scientifici, attribuisce alle Scritture il giudizio ultimo sulla bontà del metodo. Questo metodo sembra apparentemente più fedele al testo e rispettoso della tradizione biblica, assegnando alla Parola di Dio il posto predominante.
In effetti, a ben guardare, la preferenza accordata alle risultanze del metodo storico-critico è dettata più da scelte ideologiche che da risultanze oggettivamente certe. Il metodo storico-critico getta luce su molte questioni, ma resta un metodo la cui efficacia risiede nell’impostazione di chi lo utilizza. Esso, se assolutizzato, rischia di svilire la Parola di Dio, ponendola sullo stesso piano della parola umana.
Si ritiene che negare l’inerranza biblica significhi respingere la testimonianza di Gesù Cristo e dello Spirito Santi e, nel contempo, rifiutare l’autorità della Scrittura non riconoscendole veridicità (cfr. la Dichiarazione di Chicago del 1978). È Dio che ha ispirato la Scrittura per rivelarsi in essa; la Scrittura è la testimonianza che Dio rende di se stesso. Pertanto essa ha un’autorità divina infallibile su tutti gli argomenti he tratta.
La Bibbia non è solo una testimonianza della rivelazione o dell’esperienza religiosa di un popolo, Israele e la prima comunità cristiana, ma è integralmente rivelazione che promana da Dio. In un linguaggio umano è Dio stesso che parla nella sua Scrittura. Questo non esime dal ricercarne il senso attraverso metodi scientifici, ma ciò non attribuisce ad essi il giudizio ultimo sul valore della rivelazione medesima.
2. IL METODO STORICO-CRITICO.
1. Il metodo storico-critico .
In cosa consiste il metodo storico-critico? Lo dicono le tre parole: è un metodo per giungere alla comprensione di un testo, collocandolo nel suo contesto storico e svolgendo su di esso un’analisi critica. In altri termini, il metodo storico-critico considera la Bibbia, almeno in partenza, come un comune testo letterario, un documento del passato da analizzare utilizzando le stesse procedure utilizzate per qualsiasi altro documento.
Com’è noto esso è nato dal travaglio culturale che ha segnato la nascita del mondo moderno e della mentalità scientifica, a seguito del movimento filosofico noto come Illuminismo, quando si ebbe fiducia nella capacità della mente umana di scavare al di là delle verità tradizionali, acquisire nozioni nuove.
a) Le caratteristiche.
Il metodo storico-critico applica all’interpretazione della Bibbia gli stessi presupposti su cui si fonda la scienza moderna e cioè che la realtà del mondo è esterna alla realtà umana e che per essere conosciuta essa deve essere posta davanti al soggetto conoscente come un “oggetto”: dove maggiore è il distacco (la oggettività) tanto più grande è la possibilità di conoscere in modo neutrale (non soggettivo) e quindi vero. Tale metodo è stato applicato alla Bibbia considerandola come una raccolta di antichi testi relativi alla storia del popolo di Israele e alla prima comunità cristiana, e che perciò va compresa alla luce di ogni altro dato che si possa raccogliere da altre fonti, senza rimanere vincolati a interpretazioni tradizionali. È da un tale esame obiettivo che si può giungere ad una comprensione vera del messaggio originario e anche della sua dimensione religiosa di fede. Dio ha “parlato” ma lo ha fatto utilizzando strumenti umani e all’interno di una storia umana alla quale i testi rendono testimonianza.
Il metodo storico-critico richiede preparazione, rigore e obiettività. Su ogni questione esso esamina il materiale disponibile e formula delle ipotesi che poi verifica attraverso il confronto attento delle coincidenze e delle contraddizioni. Un’ipotesi si considera verificata (servendo come punto di partenza per nuove ipotesi) quando si riveli “produttiva”, ossia quando faccia comprendere al meglio la realtà in esame e ottenga il consenso degli studiosi. Ogni singolo testo deve essere esaminato da diversi punti di vista: la critica testuale, la forma letteraria, il contesto storico, il significato che esso aveva per il suo autore e i suoi primi lettori, infine la comprensione del passato alla luce della situazione e del contesto storico generale.
La critica testuale.
Prima di tutto occorre essere sicuri del testo. I testi originali non esistono più e fra i manoscritti le divergenze sono numerose, anche se il loro confronto porta a risultati affidabili, più di qualsiasi altro testo dell’antichità. La critica testuale si propone di stabilire il testo autentico, o almeno quello più sicuro, e a questo scopo raccoglie e confronta i manoscritti, antichi e recenti, che a loro volta vengono confrontati con le antiche traduzioni in greco, latino, siriaco, ecc… e con le citazioni che di questi testi hanno fatto gli autori antichi.
La forma letteraria.
La forma letteraria riguarda la conoscenza complessiva della lingua: la sua grammatica e semantica, la sintassi, le regole della costruzione della frase, la struttura retorica, lo stile, il contesto letterario. Non si può tradurre un testo senza inquadrarlo nel suo mondo linguistico e culturale.
Contesto storico.
Chiarito il testo e il suo significato immediato occorrerà ricostruirne il contesto storico, cioè i fatti di cui il testo parla o dai quali è stato prodotto e valutarne criticamente l’esattezza delle sue informazioni. Si cercherà di individuarne l’origine, l’autore, la data e il luogo di composizione; ci si interrogherà sulla sua integrità (se è un testo di uno o più autori, se vi sono aggiunte di altra mano o di altra epoca); se ne cercheranno i precedenti storici e se ne individueranno gli sviluppi successivi. Il confronto sarà poi esteso alle altre fonti a disposizione, bibliche ed extrabibliche.
Il significato del testo.
Dopo l’analisi, la sintesi: spiegare il testo indicando il senso che esso aveva per il suo autore e i suoi destinatari. In questa fase occorre ricreare il processo storico e intellettuale che soggiace al testo, tenendo conto del contesto, delle concezioni del suo tempo, della sua coerenza interna. Si tratta di essere assolutamente rigorosi e di ascoltare il testo per quello che effettivamente dice, senza aspettative preconcette.
Comprensione del testo.
Si tratta dell’ultima tappa del metodo, oltre la quale è possibile giungere ad una comprensione del testo. È la fase che il filosofo Georg Gadamer ha definito circolo ermeneutico: una fusione di due orizzonti, quello antico del testo e quello attuale del lettore. Tale circolo ermeneutico è un obiettivo ultimo e non facile da raggiungere, anche perché più si procede nel campo delle ricostruzioni e delle ipotesi, più si è spinti a introdurre nel testo le nostre visioni e attese. Più le ipotesi di lavoro si moltiplicano, meno esse possono essere realmente verificate, più vengono contestate. C’è il pericolo di ricadere, nei fatti, nel soggettivismo: questo è uno dei limiti del metodo storico-critico .
b) I principi fondamentali .
I suoi presupposti teorici e i suoi principi fondamentali sono stati esposti in modo classico da Ernst Troeltsch (1865-1923), un grande studioso e teologo liberale. Sono i principi del dubbio critico, dell’analogia, della correlazione e della neutralità (anche religiosa) dello studioso.
Dubbio critico.
Per il principio del dubbio critico si deve partire dal presupposto che nulla possa essere considerato vero o attendibile, che nessun documento scritto o tradizione possa essere ricevuto se non attraverso una dimostrazione critica della sua verità.
L’analogia.
Il principio dell’analogia vuole che i fatti e le esperienze del passato possano essere riconosciuti come veri soltanto quando trovino riscontro o analogie in altri fatti o esperienze accertate della storia. La storia non fa salti, né innovazioni: quello che produce oggi lo ha già prodotto ieri. Si dovranno perciò escludere dalla verità storica tutti i miti, il numinoso, i miracoli in quanto perturbatori dell’ordine delle cose.
La correlazione.
Il principio della correlazione o dell’interdipendenza vuole che i fatti storici stiano fra loro in relazione di causa ed effetto. Un fatto si spiega come conseguenza di fatti precedenti e causa di quelli successivi, in una catena mai interrotta di cause e di effetti.
Neutralità del ricercatore.
Il principio della neutralità esige, infine, che lo studioso prescinda dalla sua fede o da altre convinzioni e dalla visione del mondo che queste gli suggeriscono etsi Deus non daretur.
c) L’itinerario esegetico .
In concreto l’itinerario esegetico consiste nell’andare dal testo al suo ambiente e alla sua origine per poi ritornare al testo: un succedersi di lettura sincronica-diacronica-sincronica. Il primo approccio – ancora generico e, in un certo senso, previo al vero e proprio lavoro esegetico – consiste nel collocare il testo nel suo ambiente generale, linguistico, storico e religioso. Questo ci fa, in un certo modo, contemporanei dell’opera che leggiamo, rendendoci nel contempo consapevoli della distanza che ci separa. Inoltre fa comprendere che la Bibbia non è un libro isolato all’interno di un mondo estraneo, ma un libro profondamente incarnato nel suo tempo e nel suo ambiente, pur avendo una sua innegabile originalità.
Il secondo approccio si concentra invece sull’individualità del testo: non più domande sul suo ambiente generale, bensì: quando, dove, da chi e per quali destinatari è stato scritto, in quale circostanza e servendosi di quali fonti, che edizioni e rifacimenti ha subiti. Per lo più, la risposta a questi interrogativi non è offerta direttamente dal testo, ma va cercata al suo interno mediante accurate analisi sul suo contenuto e la sua forma. Di qui il sorgere di diverse metodologie di indagine, il cui scopo è di ricostruire un testo sicuro (critica testuale); studiarne i criteri linguistici, la orma, la composizione, le dipendenze l’ambiente religioso e culturale (critica letteraria); valutarne, infine, il valore storico (critica storica). Critica testuale, critica letteraria, critica storica sono i tre momenti nodali a cui tutti gli esegeti fanno riferimento.

a) Critica testuale.
Lo scopo della critica testuale è di ricostruire il più fedelmente possibile il testo originario di un’opera letteraria, realizzandone l’edizione critica. ciò avviene ricostruendo, anzitutto, la storia della trasmissione del testo: la critica testuale ricerca tutti i manoscritti, li data e ne stabilisce la reciproca dipendenza. Poi elenca tutte le varianti, confrontandole e valutandole, così da individuare la dizione più attendibile, eliminando gli elementi parassitari introdottisi successivamente: interpolazioni, glosse, deformazioni, incidenti di copiatura.
La cernita delle varianti procede sulla base di criteri esterni ed interni. Criteri esterni sono i codici più autorevoli, le versioni più antiche, le citazioni. Criteri interni sono alcune regole codificate sin dal XVIII sec, da J.J. Griesbach. Le principali sono tre: la lezione più difficile è spesso la più originaria (chi trascrive il testo è portati ad appianare le difficoltà); la lezione più breve è in genere preferibile a quella più lunga, specie se questa seconda appaia come esplicitazione della prima o una sua armonizzazione con passi paralleli; la lezione più attendibile è quella da cui poi si possono piegare le altre.
La critica testuale ci assicura che il testo biblico fu particolarmente rispettato in quanto testo sacro. Per i soli vangeli si hanno circa cinquemila tra codici, papiri, lezionari e frammenti vari. E tutti questi manoscritti sono identici nella sostanza. Moltissime le varianti, ma non sostanziali. Sia pure con un certo margine di differenza, lo stesso può dirsi dell’AT.
b) Analisi letteraria.
Per analisi letteraria si intende una vasta gamma di operazioni che comprendono sia la lettura sincronica del testo (traduzione, studio della composizione, determinazione dei generi letterari, ricostruzione dell’ambiente vitale Sitz im leben), sia la lettura diacronica (ricerca delle fonti, storia delle forme e storia della redazione).
Il primo passo nel lavoro esegetico consiste nell’identificare con esattezza l’inizio e la fine della pericope biblica che si vuole prendere in esame. Siccome i libri biblici non sono generalmente un’antologia di unità staccate riunite arbitrariamente, è importante lo studio del contesto che fa da cornice. La collocazione di un passo all’interno della sezione o del libro cui appartiene non è priva di significato.
Il primo incontro col testo non ha lo scopo di tradurlo, e quindi di ritenerlo già compreso, ma piuttosto di aprirlo e problematizzarlo, accumulando interrogativi, problemi e difficoltà, e mettendo in luce le diverse possibilità di senso che i vocaboli e le frasi racchiudono. La traduzione è l’ultimo passo. La scelta fra i vari significati possibili avverrà solo alla fine, dopo che si è osservato il testo da angolature molteplici.
L’analisi letteraria si sforza innanzitutto di mettere in luce l’unità o il carattere composito del testo in esame. I criteri per questa operazione sono molteplici e di diverso valore, e quindi da valutare attentamente: ad esempio, la presenza di doppioni e ripetizioni, tensioni e contraddizioni; la presenza o l’assenza, nelle differenti sezioni del passo, dei medesimi caratteri stilistici. Si comprende come questa operazione sia importante per passare poi alla ricerca di eventuali fonti, tradizioni e unità preesistenti.
Da alcuni anni gli esegeti sono attenti a rilevare le strutture dei testi. Non si tratta della vera e propria lettura strutturalista, ma più semplicemente di un’analisi attenta alle strutture di superficie, quali ad esempio gli agganci, le riprese, le correlazioni interne, il movimento delle scene. Questa analisi fu dapprima intrapresa quasi esclusivamente per scoprire l’unità o il carattere composito di un testo, ma ora la si usa anche positivamente per scoprire il senso della composizione: le correlazioni, le connessioni come gli strappi rivelano un senso. Il presupposto è che un testo manifesti il suo significato non solo mediante i suoi contenuti, ma anche mediante i suoi intrecci interni. Il testo biblico è sempre una risposta a domande nate da situazioni concrete, domande che, per lo più, imponevano ripensamenti, approfondimenti e attualizzazione del patrimonio tradizionale. È perciò importante determinarne l’ambiente vitale (Sitz in Lebem) – pastorale e culturale – in cui e per cui il testo ha preso vita. Di capitale importanza per individuare l’intenzione di un testo e la sua verità è la determinazione del genere letterario. Si intuisce quanto sia diverso il genere poetico dal genere storico, il genere epistolare dal genere apocalittico, e così via .
c) Ricerca delle fonti.
Dopo la lettura sincronica si passa ad una lettura diacronica, il cii scopo è di andare al di là del testo attuale per studiarne la formazione. La prima tappa è la ricerca delle fonti. Per “fonti” si intende sia gli eventuali complessi già letterariamente fissati che sono all’origine di un testo, sia quelle tradizioni – in tutto o in parte ancora a livello orale, ma comunque già ordinati in complessi strutturati e con una loro precisa fisionomia – confluite poi in un testo letterario. Di queste fonti si definiscono i contorni e se ne studia l’origine, l’ambiente, il pensiero e la storia .
Queste ricerche, tuttavia, non sono immuni da rischi: quello, ad esempio, di procedere per ipotesi non sufficientemente fondate; o quello di passare ingenuamente da un’analisi letteraria a una valutazione storica, come se il contenuto della fonte fosse – per il semplice fatto di essere più arcaico – anche necessariamente più storico. L’arcaicità letteraria non equivale di per sé a storicità. Da una parte, infatti, la fonte può già essere un’interpretazione del dato storico; dall’altra, gli elementi confluiti in un secondo tempo nella fonte possono avere un loro grado di attendibilità storica.
d) Storia delle forme.
Con la ricerca delle fonti si va oltre il testo nella sua attuale stesura, ma si rimane pur sempre all’interno di una tradizione già sviluppata. I critici elaborarono un metodo per compiere un passo ulteriore e raggiungere la preistoria del testo, cioè quello stadio preletterario in cui le singole unità (che confluirono poi nella composizione finale del testo) si formarono e circolarono sparse. È il metodo conosciuto sotto il nome di “storia delle forme” (Formgeschichte), denominazione derivante dall’opera di M. Dibelius .
Oggi il metodo si è quasi completamente disincagliato da alcuni presupposti ideologici che lo condizionavano pesantemente . Il procedimento del metodo della storia delle forme si articola sostanzialmente in quattro operazioni.
Primo. Si staccano le unità dal quadro evangelico redazionale, poi si catalogano in base alla loro forma letteraria. Queste unità rappresentano lo stadio della tradizione orale e testimoniano la fede e la vita delle comunità cristiane a quel livello della tradizione.
Secondo. Si determina l’ambiente vitale (Sitz im Leben) dei singoli generi in cui le unità si sono lasciate catalogare, cioè l’ambiente e gli interessi in cui e per cui le unità presero vita: l’annuncio missionario, la catechesi, il culto, la polemica.
Terzo. Si seguono queste unità nel loro cammino, dal loro ambiente di origine ai vangeli, mettendo in luce tutti i cambiamenti sopravvenuti nella loro trasmissione. Lavoro incerto e delicato, che raramente va oltre il valore di una semplice ipotesi.
Quarto. Al termine di questo procedimento, l’esegeta si sente spesso indotto ad emettere un giudizio sulla storicità delle unità prese in esame. Con questo si passa dall’analisi letteraria alla critica storica, passaggio che richiede molta attenzione e il ricorso a criteri che non sono più letterari ma storici. La valutazione avviene sia sulla base di elementi emersi all’interno del processo di tradizione delle unità studiate (ambiente d’origine, interessi, influssi), sia sulla base di analogie con le letture contemporanee (giudaica ed ellenistica).
Questo metodo, nonostante gli eccessi in cui può cadere , rimane insostituibile. Ha risvegliato l’interesse per la tradizione preletteraria, facendo meglio conoscere sia la formazione dei vangeli sia la vita e la fede delle comunità nello stadio precedente la stesura dei testi letterari.
e) Storia della redazione.
Reagendo al limite della storia delle forme – che analizza le singole unità e trascura l’insieme – sorse verso il 1950 una nuova corrente interessata non più alle fonti e alla preistoria del testo, ma alla sua composizione finale, alla sua redazione, da cui la denominazione di “storia della redazione” (Redaktiongeschichte). Anche qui il campo privilegiato di indagine sono i vangeli, ma ovviamente il metodo è applicabile anche a tutti gli altri testi in cui la tradizione e la redazione hanno giocato un ruolo .
Il presupposto di partenza è che la composizione di un testo (per es. un vangelo) non sia una mera raccolta di materiali preesistenti, ma una operazione intelligente che persegue un progetto teologico. È questo progetto che la storia della redazione intende mettere in luce. Lo fa raccogliendo e valutando tutti quegli indizi che mostrano il lavoro compiuto dal redattore sul materiale tradizionale: la scelta operata sul materiale tradizionale, le inserzioni e le omissioni, le cuciture che legano i materiali di diversa provenienza, i sommari, i mutamenti di vocabolario.
Il grande merito di questo metodo è la giusta valorizzazione del progetto teologico dell’ultimo autore biblico. Ma non manca neppure qui una certa unilateralità. Spesso questi esegeti non si interessano al libro in tutte le sue parti, ma unicamente a ciò che in esso vi è di tipico, di particolare rispetto alle fonti usate o alle precedenti redazioni. Il testo, invece, va interrogato così com’è, con tutto quello che contiene, attento sia agli elementi redazionali che a quelli tradizionali. L’esegesi è finalizzata al testo nella sua obiettività, non semplicemente all’intenzione del suo redattore.
f) Critica storica.
Dopo la ricostruzione del testo e l’analisi letteraria (sia sincronica che diacronica), l’itinerario esegetico comprende la critica storica . La Bibbia è il racconto della “storia della salvezza” e quindi la realtà o meno di ciò che vi si narra non è indifferente alla sua comprensione . Gli autori hanno elaborato soprattutto tre criteri:
– il criterio della molteplice attestazione, in base al quale si ritiene attendibile un dato attestato da fonti molteplici e indipendenti;
– il criterio della discontinuità, in base al quale si ritiene autentico un dato che non si spiega né come derivazione dall’ambiente giudaico né come prodotto della comunità cristiana;
– il criterio della conformità, in base al quale si ritiene attendibile ciò che è conforme alle situazioni precise della vita di Gesù e alle sue caratteristiche di stile e di linguaggio.

d) Insufficienza del metodo storico-critico .
Da più parti recentemente si sono mosse diverse critiche all’esegesi storico-critica. Le si è rimproverato di essere un sapere riservato a pochi, archeologico e chiuso. Proprio perché sottolinea la storicità della parola, la sua individualità, il suo legame con un tempo determinato, finisce con l’aumentare la distanza fra il testo e il lettore. Così l’esegesi rischia di rinchiudersi nel passato, e nella misura in cui ciò avviene la protesta nei suoi confronti è pienamente giustificata . L’esegesi deve, infatti, aiutare a trovare nel testo un senso aperto, non chiuso. La Bibbia non è un testo chiuso nel passato: è un libro mantenuto perennemente vivo all’interno di una comunità che continuamente lo legge. Certo il momento originario, cioè il contesto storico preciso in cui il testo è nato, è di particolare importanza: tuttavia non è l’unico contesto e non è l’unico fattore che contribuisce al suo significato.
La Bibbia non deve essere considerata in modo frammentario, a prescindere dalla situazione storica relativa alla composizione dei singoli libri. Eppure, tale errore continua a persistere. Affermare che la Bibbia si interpreta da sé vuol dire affermare che essa possiede un senso unico e pervasivo ossia che ha un significato omogeneo. Essendo la parola di Dio, la Bibbia è un’unità, di modo che ciascuna sua parte occupa un posto ben preciso all’interno dell’unico messaggio organico. Così un particolare passo è localizzato all’interno di una trama di contesti assegnatagli da Dio, la quale concorre a chiarire in quanto il senso primario della Scrittura influenza ogni singola porzione. Quindi, la rivelazione biblica spiega se stessa perché ha una struttura organica unificata. La Bibbia resiste all’onnipresente tendenza a vederla come un ammasso di particolarità connesse tra loro in modo ambiguo, le quali rendono necessario un qualche prolegomenon (discorso sistematico introduttivo) che fornisca l’indispensabile struttura unificante. La rivelazione biblica possiede una struttura peculiare che influenza spontaneamente l’interprete recettivo. Sostanzialmente tale struttura non è letteraria, ma appartiene al contenuto stesso della Bibbia ed è presente in tutta la varietà delle forme letterarie della Scrittura. La struttura e l’unità della rivelazione biblica sono, a loro volta, la struttura e l’unità della storia della rivelazione che riporta fedelmente. E la struttura della storia della rivelazione ci si presenta come la realizzazione di un processo organico che porta alla maturazione di un organismo, ossia come lo svilupparsi della testimonianza e dell’interpretazione della storia redentiva centrata su Cristo. Una teologia che sia rigorosamente e metodicamente controllata da tale prospettiva non sarà solo incline a raggiungere conclusioni bibliche, ma tenderà anche a procedere ponendo fin da principio le giuste domande. È l’applicazione più felice e fruttuosa del principio della Riforma Scripturam ex Scriptura explicandam esse.
L’esegesi critica, inoltre, identifica troppo il senso del libro con l’intenzione dell’autore che l‘ha scritto. Riconoscere l’intenzione dell’autore è certo un principio di grande validità, a dispetto di disinvolte affermazioni contrarie. Tanto più che la Bibbia non è semplicemente un’opera d’arte: in questi casi il senso sarebbe più aperto . L’intenzione resta di capitale importanza. Tuttavia è ugualmente vero che il testo non si riduce semplicemente all’intenzione dell’autore che l’ha scritto. Il testo, una volta scritto, è un fatto obiettivo e ha una sua vita. Ad ogni modo lo scopo dell’esegesi non è ricostruire l’intenzione dell’autore, ma di scoprire il senso del suo scritto. Si deve comprendere il senso di un testo all’interno di un canone e all’interno di una tradizione viva: due cose che sono produttrici di conseguenze e di risonanze che non necessariamente l’autore ha inteso. Ne è però all’origine. Vi è, dunque, una certa autonomia del testo nei confronti del suo autore .
Infine, si rimprovera al metodo storico-critico una illusione di obiettività: esso si illude di poter raggiungere l’intenzione dell’autore, il testo in sé, mentre ogni conoscenza storica non può mai estraniarsi dal soggetto, dal suo presente, dalla sua cultura: non è mai un raggiungere il passato in se stesso, ma è sempre una conoscenza nostra del passato.
Tutte queste critiche sono valide e opportune nella misura in cui l’esegesi storico-critica tende ad assolutizzarsi. Non ne annullano però l’importanza e la validità, più semplicemente ne dichiarano l’insufficienza. Queste critiche possono spiegare – ma non giustificare – l’insofferenza che da più parti si manifesta contro l’esegesi scientifica a vantaggio di letture così dette teologiche e spirituali . Le due prospettive non si elidono ma si completano .
3. LETTERALISMO.
a) criteri e caratteristiche.
La lettura fondamentalista parte dal principio che la Bibbia, essendo Parola di Dio ispirata ed esente da errore, dev’essere letta e interpretata letteralmente in tutti i suoi dettagli. Ma per “interpretazione letterale” essa intende un’interpretazione primaria, letteralista, che esclude cioè ogni sforzo di comprensione della Bibbia che tenga conto della sua crescita nel corso della storia e de suo sviluppo. Si oppone perciò all’utilizzazione del metodo storico-critico per l’interpretazione della Scrittura, così come ad ogni altro metodo scientifico.
La lettura fondamentalista ha avuto la sua origine, all’epoca della Riforma, da una preoccupazione di fedeltà al senso letterale della Scrittura. Dopo il secolo dei lumi, essa si è presentata, nel protestantesimo, come una salvaguardia contro l’esegesi liberale. Il termine “fondamentalista” si ricollega direttamente al Congresso Biblico Americano tenutosi a Niagara, nello stato di New York ne 1895. Gli esegeti protestanti conservatori definirono allora «cinque punti del fondamentalismo»: l’inerranza verbale della Scrittura, la divinità di Cristo, la sua nascita verginale, la dottrina dell’espiazione vicaria e la risurrezione corporale in occasione della seconda venuta di Cristo. Quando la lettura fondamentalista si propagò in altre parti del mondo, diede vita ad altri tipi di lettura ugualmente “letteralisti”, in Europa, Asia, Africa e America Latina.
Benché il letteralismo abbia ragione di insistere sull’ispirazione divina della Bibbia, sull’inerranza della Parola di Dio e sulle altre verità bibliche incluse nei cinque punti fondamentali, il suo modo di presentare queste verità si radica in una ideologia che non è biblica. Essa esige una adesione ferma e sicura ad atteggiamenti dottrinali rigidi e impone, come fonte unica d’insegnamento riguardo alla vita cristiana e alla salvezza, una lettura della Bibbia che rifiuti ogni tipo di atteggiamento o ricerca critici. Il problema di base di questa lettura è che rifiutando di tener conto del carattere storico della rivelazione biblica, si rende incapace di accettare pienamente la verità della stessa Incarnazione. Il letteralismo evita la stretta relazione del divino e dell’umano nei rapporti con Dio. Rifiuta di ammettere che la Parola di Dio ispirata è stata espressa in linguaggio umano ed è stata redatta, sotto l’ispirazione divina, da autori umani le cui capacità e risorse erano limitate. Per questa ragione, tende a trattare il testo biblico come se fosse stato dettato parola per parola dallo Spirito e non arriva a riconoscere che la Parola di Dio è stata formulata in un linguaggio e una fraseologia condizionati da una data epoca. Non accorda nessuna attenzione alle forme letterarie e ai modi umani di pensare presenti nei testi biblici, molti dei quali sono frutto di una elaborazione che si è estesa su lunghi periodi di tempo e porta il segno di situazioni storiche molto diverse.
Il letteralismo insiste anche in modo indebito sull’inerranza dei dettagli nei testi biblici, specialmente in materia di fatti storici o di pretese verità scientifiche. Spesso storicizza ciò che non aveva alcuna pretesa di storicità, poiché considera come storico tutto ciò che è riferito o raccontato con verbi al passato, senza la necessaria attenzione alla possibilità di un significato simbolico o figurativo. Esso tende spesso a ignorare o a negare i problemi che il testo biblico comporta nella sua formulazione ebraica aramaica o greca. È spesso strettamente legato a una determinata traduzione, antica o moderna. Omette ugualmente di considerare le “riletture” di alcuni passi all’interno stesso della Bibbia.
Per ciò che concerne i vangeli, il letteralismo non tiene conto della crescita della tradizione evangelica, ma confonde lo stadio finale di questa tradizione (ciò che gli evangelisti hanno scritto) con lo stadio iniziale (le azioni e le parole del Gesù della storia). Viene trascurato nello stesso tempo un dato importante: il modo in cui le stesse prime comunità cristiane compresero l’impatto prodotto da Gesù di Nazaret e dal suo messaggio. Invece abbiamo lì una testimonianza dell’origine apostolica della fede cristiana e la sua diretta espressione.
b) Limiti del letteralismo.
Il letteralismo snatura così l’appello lanciato dal vangelo stesso, portando inoltre a una grande ristrettezza di vedute: ritiene infatti come conforme alla realtà, perché la si trova espressa nella Bibbia, una cosmologia antica superata, il che impedisce il dialogo con una concezione più aperta dei rapporti tra cultura e fede. Si basa su una lettura non critica di alcuni testi della Bibbia per confermare idee politiche e atteggiamenti sociali segnati da pregiudizi, per esempio razzisti, del tutto contrari al vangelo cristiano.
In realtà, non è solo legittimo, ma indispensabile cercare di definire il significato preciso dei testi come sono stati composti dai loro autori significato che è chiamato “letterale”. Il senso letterale non è da confondere col senso “letteralistico”. Non è sufficiente tradurre il testo parola per parola per ottenere il suo senso letterale. È necessario comprenderlo secondo le convenzioni letterarie del tempo. Quando un testo è metaforico, il suo senso letterale non è quello che risulta dal significato immediato delle parole (per esempio: «Abbiate la cintura ai fianchi», Lc 12, 35), ma quello che corrisponde all’uso metaforico dei termini («Abbiate un atteggiamento di disponibilità»). Quando si tratta di un racconto, il senso letterale non comporta necessariamente l’affermazione che i fatti raccontati siano effettivamente accaduti; infatti un racconto può non appartenere al genere storico, ma essere frutto di immaginazione.
Il senso letterale della Scrittura è quello espresso direttamente dagli autori umani ispirati. Essendo frutto dell’ispirazione, questo senso è voluto anche da Dio, autore principale. Lo si discerne grazie a un’analisi precisa del testo, situato nel suo contesto letterario e storico. Il compito principale dell’esegesi è proprio quello di condurre a questa analisi, utilizzando tutte le possibilità delle ricerche letterarie e storiche, al fine di definire il senso, letterale dei testi biblici con la maggiore esattezza possibile. Per tale scopo, lo studio dei generi letterari antichi è particolarmente necessario.
Il senso letterale di un testo è unico? In generale, sì; ma non si tratta di un principio assoluto, e questo per due ragioni. Da una parte, un autore umano può voler riferirsi nello stesso tempo a più livelli di realtà. Il caso è corrente in poesia. L’ispirazione biblica non disdegna questa possibilità della psicologia e del linguaggio umani; il quarto vangelo ne fornisce numerosi esempi. D’altra parte, anche quando un’espressione umana sembra avere un solo significato, l’ispirazione divina può guidare l’espressione in modo da produrre un’ambivalenza. Tale è il caso dell’espressione di Caifa in Gv 11, 50. Essa esprime al tempo stesso un calcolo politico immorale e una rivelazione divina. Questi due aspetti appartengono l’uno e l’altro al senso letterale, perché sono entrambi messi in evidenza dal contesto. Anche se estremo, questo caso è significativo e deve mettere in guardia contro una concezione troppo ristretta del senso letterale dei testi ispirati. Conviene, in particolare, essere attenti all’aspetto dinamico di molti testi. Il senso dei salmi regali, per esempio, non dev’essere limitato strettamente alle circostanze storiche della loro produzione Parlando del re, il salmista evocava al tempo stesso un’istituzione reale e una visione ideale della monarchia, conforme al disegno di Dio, in modo che il suo testo andava al di là dell’istituzione monarchica come si era manifestata nella storia. L’esegesi storico-critica ha avuto troppo spesso la tendenza a limitare il senso de testi, collegandolo esclusivamente a precise circostanze storiche. Essa deve piuttosto cercare di precisare la direzione di pensiero espressa dal testo, direzione che, invece di invitare l’esegeta a limitare il senso, gli suggerisce al contrario di percepirne i prolungamenti più o meno prevedibili.
Una corrente dell’ermeneutica moderna ha sottolineato la differenza di situazione che colpisce la parola umana quando viene messa per iscritto. Un testo scritto ha la capacità di essere collocato in nuove circostanze, che lo illuminano in modi diversi, aggiungendo al suo significato nuove determinazioni. Questa capacità del testo scritto è effettiva specialmente nel caso dei testi biblici, riconosciuti come Parola di Dio. In effetti, ciò che ha spinto la comunità credente a conservarli è stata la convinzione che avrebbero continuato a essere portatori di luce e di vita per le generazioni future. Il senso letterale è, fin dall’inizio, aperto a sviluppi ulteriori, che si producono grazie a “riletture” in contesti nuovi. Non ne consegue che è possibile attribuire a un testo biblico qualsiasi significato, interpretandolo in modo soggettivo. Al contrario, è necessario respingere come inautentica ogni interpretazione che fosse eterogenea rispetto al senso espresso dagli autori umani nel loro testo scritto. Ammettere dei significati eterogenei equivarrebbe a togliere al messaggio biblico le sue radici, che sono la Parola di Dio comunicata storicamente, e ad aprire la porta a un soggettivismo incontrollabile.
4 IL METODO STORICO-GRAMMATICALE.
a) Premesse.
Il metodo storico-grammaticale, ponendosi nel mezzo tra l’eccessiva fiducia nelle tecniche di analisi esegetiche proprie del metodo storico-critico e tra l’eccessiva enfasi alle ispissima verba Dei del letteralismo, vuole fungere da ponte e traghettare l’ermeneutica critica sulle sponde della devozione del letteralismo verso il testo sacro onde creare un sistema che sappia coniugare il rigore scientifico con la dovuta riverenza per la Parola di Dio. Presupposto di tale metodo e che:
– Dio è realmente intervenuto nella storia;
– Dio si è autocomunicato nella sua rivelazione scritta;
– Dio assicura la retta comprensione della sua rivelazione.
Credere che Dio sia intervenuto nella storia dell’uomo significa anche credere che la storia di questi interventi sia stata registrata e in questa registrazione Dio non può non aver avuto un ruolo meramente passivo. Per cui tutto quello che Dio voleva fosse raccontato è ciò che è stato realmente raccontato nella sua Parola scritta.
Il metodo storico-critico parte dall’assunto che la Bibbia sia il prodotto della riflessione religiosa di un popolo, Israele prima e la Chiesa poi, per cui bisogna studiare il senso di questa riflessione per comprendere il significato di tale esperienza religiosa. In pratica, la Bibbia perde il suo aspetto di testo sacro riportante non solo le gesta Dei ma anche le sue parole per divenire un libro scritto da uomini, come metodi umani e avvalendosi di generi letterari tipici della letteratura. L’umano assorbe totalmente il divino ed è in questo umano che vanno ravvisati gli elementi divini. Trattandosi di un metodo che risente fortemente delle pregiudiziali che ne hanno condizionato la genesi (evoluzionismo, scetticismo scientifico), esso si pone come criterio ermeneutico capace di separare i fatti reali da quelli puramente ideologici e funzionali. La Bibbia smette di essere Parola di Dio per l’uomo per divenire la parola dell’uomo su Dio. A.M. Fairbairn afferma: “L’uomo che non crede che Dio gli possa parlare, non parlerà a Dio”.
Il metodo storico-critico, alla lunga, porta a ritenere la Bibbia non più Parola di Dio ma contenente la Parola di Dio, perché essa è solo la testimonianza umana resa alla Parola di Dio nella storia. Si ha così una svalutazione del valore normativo dei testi biblici. Non fa specie se un teologo ha affermato che il canone biblico non può essere chiuso e che se in futuro dovessero ritrovarsi nuovi testi che possono includersi nei libri canonici, essi vi potranno entrare tranquillamente .
La Bibbia sarebbe, quindi, un prodotto storico delle varie comunità di fede che nell’arco dei secoli hanno lasciato traccia della loro esperienza di fede, raccontando quello che per loro era l’azione di Dio e ponendola sotto la sua autorità tramite uno scritto da attribuire a Lui. Sostenere che la Bibbia sia semplicemente la registrazione dell’esperienza religiosa di un popolo significa attribuirle un notevole grado di soggettività. La filosofia soggiacente a questo metodo esegetico è di tipo kantiano, per cui nulla vi sarebbe di oggettivo ma tutto rientra nella sfera di comprensione di chi vive o rilegge gli avvenimenti narrati . In tutto questo, l’interprete appare solo con i suoi strumenti scientifici; lo Spirito di Dio, che sovrintendeva alla stesura delle Scritture, ora sembra scomparso dall’orizzonte e ci si apre ad una comprensione antropocentrica della rivelazione di Dio. Scrive il teologo B.B. Warfield:
“Certamente questi metodi della rivelazione non vanno trascurati, ma non si deve nemmeno trascurare che tra i modi in cui Dio si è rivelato esiste anche il seguente: egli ha parlato all’uomo come Spirito ad uno spirito, come bocca ad una bocca, facendogli conoscere se stesso e i suoi propositi di grazia in una parola diretta e immediata. Tale parola divina è solo ricevuta e non è, in alcun senso, acquisita dall’uomo. questo tipo di rivelazione costituisce la categoria culminante della rivelazione speciale e mostra il più chiaramente possibile tutta la sua peculiarità. È proprio la realtà di queste rivelazioni dirette che il pensiero moderno trova difficile riconoscere e che, dunque, gli apologeti cristiani devono difendere” .
“Da sempre, la chiesa ha riconosciuto che la relazione tra l’autore divino e quelli umani implica l’estensione della guida dello Spirito alla scelta delle parole usate dagli autori umani (questo è il concetto di ispirazione “verbale”), preservando il prodotto finale da tutte quelle cose non conformi all’autorità divina. Così lo Spirito di Dio ha assicurato, tra l’altro, quella piena attendibilità che è presupposta ovunque dagli scrittori sacri (questo è il concetto di “inerranza”) .
“Se, invece, l’opera dello Spirito è ritenuta secondaria in quanto è generalmente, se non invariabilmente, successiva alla serie di atti redentivi di Dio che, si pensa, costituiscono il cuore della rivelazione, tale teoria non corrisponde alla concezione biblica. Infatti, secondo la Scrittura, l’elemento fondamentale della rivelazione non è il processo oggettivo degli atti redentivi, ma l’intervento rivelatore dello Spirito di Dio, che è presente in tutte le modalità di comunicazione proprie dello Spirito e che raggiungono l’apice nelle comunicazioni mediante una parola oggettiva” .
b) Origini del metodo.
Il metodo storico grammaticale viene fatto risalire a Lutero, che lo applicò nelle sue lezioni sulla Scrittura già dal 1515, respingendo l’ermeneutica allegorica origeniana e cercando nelle Scritture il riferimento a Cristo e alla sua croce. Leggere le Scritture avvalendosi di questo metodo significa avere Cristo al centro di tale lettura. Si tratta, dunque, di una lettura cristocentrica delle Scritture, così come testimoniato dall’uso dell’AT negli scritti neotestamentari, uso che tali scritti fanno originare direttamente da Gesù Cristo o, per usare una terminologia cara alla teologia contemporanea, sia dal Gesù terreno che dal Cristo glorificato.
Mettere la Bibbia al centro del pensiero teologico ed esegetico non significa eleggere il “libero esame” a criterio unico e definitivo, bensì applicare il principio luterano dell’intelligenza credente (gläubiger Verstand) orientata dalla fede e non solamente dai metodi scientifici . Lutero nella Scrittura cercava il Cristo.
“Tota Scriptura eo vergit, ut Christum nobis proponat, ut Christum cocgnoscamus” (Sermone su Genesi, 15 marzo 1523).
Scrive ancora Lutero:
“Io lascio giocare e trafficare con le allegorie chi ha voglia di farlo; ma Dio e la Bibbia si interessano di Cristo, come egli soltanto ci renda beati. Altri hanno strani pensieri, si allontanano da Cristo, vogliono avere qualcosa di nuovo; ma la sacra Scrittura non vuol sapere né spiegarci altro che Cristo. E… chi viene così condotto a Cristo dalla Scrittura, sta bene e cammina sulla retta via .
Il traguardo dell’autentica interpretazione biblica è pervenire ad cognitionem Christi et gratiae Dei et ad secretiorem spiritus intelligentiam. Il riformatore tedesco non considera affatto l’AT come una semplice prefigurazione del NT. Le due parti della Bibbia sono un’unità in quanto in entrambe Dio agisce e in entrambe si parla di Cristo. In uno scritto che sembra profetico, Lutero affermò:
“Non è forse sommamente empio dividere così la Scrittura, al punto che alla lettera non attribuisci importanza per la fede né per i costumi né per la speranza, ma solo per la storia che ormai è inutile? Così i brani allegorici riguardano solo la fede, non i costumi né la speranza, quelli tropologici solo i costumi, quelli anagogici solo la speranza – come se Paolo non dicesse in 2Tm 3: “Ogni Scrittura divinamente ispirata è utile ad insegnare, a riprendere, a correggere, ad educare alla giustizia, affinché l’uomo sia perfetto…”” .
Lutero, nel suo corso sul libro del Deuteronomio, scrisse che la prima opera del lettore cristiano deve essere di cercare
“…quel senso che chiamano letterale, che da solo è la sostanza di tutta la fede e la teologia cristiana, che solo rimane in piedi nella tribolazione e nella tentazione, che vince le porte dell’inferno, il peccato e la morte, e che trionfa a lode e gloria di Dio. L’allegoria invece è molto spesso incerta, è infida e malsicura come fondamento della fede, perché dipende troppo spesso dalla congettura e opinione degli uomini, e se qualcuno vi si appoggia, è come se si appoggiasse a una canna egiziana… Perciò per prima cosa bisogna mettere in lice il significato storico, il quale insegna, consola, conferma. Poi l’allegoria può essere come un altro testimone che adorna e illustra” .
Lutero pretendeva dall’esegesi e dalle traduzioni della Bibbia il massimo rigore:
“A me non piacciono quegli ebraisti che danno tanti significati diversi a una medesima parola. Da lì nascono equivoci e una certa confusione babilonica delle parole… In nessuna Scrittura, neppure in quella divina, è lecito andare a cacia di figure per puro piacere (pro mera libidine); esse devono essere evitate, e si deve tendere al significato puro e primario delle parole” .
E nel De captivitate babylonica Ecclesiae:
“Non si deve fare alle parole divine alcuna violenza, ma per quanto possibile esse devono essere conservate nel loro significato più semplice, senza prenderle in un senso diverso da quello proprio e grammaticale, salvo quando qualche circostanza evidente lo renda necessario, affinché si dia agli avversari l’occasione di eludere l’intera Scrittura” .
Per la giusta interpretazione delle Scritture, Lutero si affida perciò alla guida dello Spirito Santo e al messaggio globale della Scrittura. Egli bilancia sapientemente lo strumento divino con quello umano, rimproverando anche chi voleva troppo Spirito e poca Scrittura: lo Spirito è legato alla lettera della Bibbia, ma la Parola deve essere vivificata e illuminata dallo Spirito; questo è il circolo ermeneutico virtuoso: Scriptura est in potestate Dei, cuicumque voluerit, dabit eam. Pertanto, per una retta esegesi biblicamente sostenibile, si deve tener presente la Bibbia nel suo insieme, anche leggendola tutta . La Bibbia, così, è sui ipsius interpres, ossia la Scrittura ha in se stessa la norma della sua interpretazione.
Senza l’intervento dello Spirito, la Scrittura non parla agli uomini con l’autorità del Signore. L’uso di tecniche esegetiche aiuta a far emergere il senso reale del testo, ma non si può stabilire un rapporto di identità tra queste tecniche, i loro risultati e la Parola di Dio. Quando vi erano dei passi problematici, Lutero non faceva ricorso all’allegoria per risolvere la questione, appunto per non privare di storicità i racconti biblici ma sottolineava questo aspetto in modo più radicale.
c) Caratteristiche.
Fatte queste opportune premesse, si può investigare in cosa consista il metodo storico-grammaticale. Lo dice innanzitutto il trinomio da cui assume il titolo: è un metodo, ossia un insieme di tecniche che tiene conto del punto di vista storico per la propria esegesi, partendo dall’analisi letterale dei testi da esaminare. Il senso di questo metodo è dato dagli artt. 15-20 della Dichiarazione di Chicago sull’ermeneutica biblica del 1982 . Per brevità riportiamo il testo dell’art. 15:
“Affermiamo che è necessario interpretare la Bibbia secondo il suo senso letterale o naturale. Il senso letterale è il senso storico-grammaticale, cioè quello espresso dall’autore. L’interpretazione secondo il senso letterale tiene conto di tutte le figure di stile e di tutte le forme letterarie del testo. Respingiamo come illegittimo ogni approccio alla Scrittura che attribuisce al testo un significato che il senso letterale non suffraga”.
Tre convinzioni necessarie per percorrere un tracciato esegetico fedele al messaggio biblico ed evitare sbandamenti:
1) la Scrittura, l’insegnamento di Dio stesso per noi, è sempre vera e assolutamente affidabile;
2) l’ermeneutica è cruciale nella battaglia per l’autorità biblica nella chiesa contemporanea;
3) come la conoscenza dell’inerranza della Scrittura deve controllare l’interpretazione, vietandoci di scartare tutto ciò che la Scrittura dimostra di affermare, così l’interpretazione deve chiarire la portata e il significato di tale inerranza determinando quali affermazioni la Scrittura effettivamente fa.

Nello specifico, quindi, l’ermeneutica può essere definita come lo studio dei parametri e dei principi da utilizzare per comprendere il testo biblico. In questo senso, il compito dell’esegeta è quello di comprendere in primis qual è il significato storico della Scrittura per poi passare al significato per i credenti del XXI secolo. Per permettere una corretta attualizzazione del messaggio biblico nella vita quotidiana dei figli di Dio, tre sono le tappe da percorrere: 1) l’esegesi, cioè comprendere cosa Dio tramite l’autore umano intendesse comunicare agli ascoltatori e lettori originali 2) l’integrazione con l’esegesi di altri testi biblici attinenti al brano in questione, in particolare, e all’intero testo biblico, in generale. 3) l’applicazione del testo interpretato nella vita del credente affinché i suoi pensieri e le sue azioni siano corretti e rediretti a Dio. È nella predicazione che interpretazione, integrazione e applicazione dovrebbero necessariamente incontrarsi, altrimenti “l’insegnamento biblico sarà frainteso e applicato erroneamente generando confusione e ignoranza riguardo a Dio e alle sue vie”.
Una fedele interpretazione non sarà magisteriale bensì ministeriale. Il che vuol dire che l’esegeta non si imporrà o modificherà il significato del testo ma si sforzerà, con l’aiuto dello Spirito Santo, di cogliere il significato intrinseco ed evidente del brano. Perciò, quattro sono i fattori da tenere imprescindibilmente presenti:
a) l’interpretazione deve attenersi al senso letterale, cioè al singolo significato letterario che ogni brano porta con sé;
b) il senso letterale di ogni brano va ricercato con il metodo storico-grammaticale, cioè chiedendosi quale sia il modo linguisticamente naturale di comprendere il testo nel suo contesto storico;
c) l’interpretazione deve attenersi al principio dell’armonia del materiale biblico;
d) l’interpretazione deve essere canonica, vale a dire che l’insegnamento della Bibbia nel suo complesso deve essere sempre considerato come il quadro entro il quale la nostra comprensione di ogni particolare passaggio deve essere raggiunta e in cui deve essere finalmente inserita.
A proposito di quest’ultimo, è di imprescindibile importanza avere le lenti cristologiche che permettono di collocare i singoli passi nella cornice della centralità di Gesù Cristo in tutto il canone scritturale.
Con questo si voleva dire varie cose:
– Primo, che la Scrittura è la registrazione della rivelazione di Dio nella storia, e che un testo deve essere spiegato nel suo contesto storico. Per esempio, si deve comprendere ciò che il tempio significava per Salomone ed Israele quando fu costruito per comprendere cosa Dio sta dicendo a noi oggi quando leggiamo della sua costruzione.
– Secondo, che la Scrittura è scritta in linguaggio umano e deve essere interpretata secondo le regole dell’ebraico e del greco. Dio scrisse la Scrittura nel nostro linguaggio in modo che la potessimo comprendere. Dio parlò di se stesso chiaramente. Calvino paragonò il modo di parlare di Dio con noi al “balbettìo” di una bambinaia che parla in un modo che un bimbo può capire.4
– Terzo, con metodo storico-grammaticale i riformatori intendevano che la Scrittura deve essere presa alla lettera. Se da un lato ciò non deve essere applicato in modo rigido alle parti in cui sono impiegati simboli e figure, in modo da prenderli alla lettera, la Scrittura stessa indicherà chiaramente dove non deve essere presa in senso letterale.
– Quarto, questo senso letterale distrugge l’allegoria una volta per tutte. Lutero aveva imparato che nell’allegoria vi era solo disperazione, e la condannò acutamente come “mero gioco di prestigio,” “una vana ricerca,” “trucchetti scimmieschi,” e “linguaggio di babbei”.
I riformatori non negavano che alcune Scritture sono più difficili da comprendere rispetto ad altre, ma, come disse Lutero: “Un passaggio dubbio ed oscuro deve essere spiegato da un passaggio chiaro e sicuro,” perché “la Scrittura è la sua propria luce. È molto buono che la Scrittura spieghi se stessa.
Il metodo storico-critico è utile per aiutare nella comprensione della Scrittura ma si deve respingere il pregiudizio secondo il quale il contesto storico e il contenuto del messaggio si identificano. Non si tratta, pertanto, di rinunciare all’esame critico del testo e alla ricerca, ma esaminare le circostanze inerenti la formazione del testo e l’oggetto del suo discorso. Un’interpretazione attenta all’oggetto deve seguire il testo nella sua intenzione; utile in questo è certamente l’attenzione al Sitz im Leben, ma tenendo ben fermo che si tratta di un testo che non appartiene, in senso lato, al suo autore umano appunto perché ha la pretesa di veicolare la Parola di Dio. L’autorità normativa del testo si manifesta all’interno dell’impresa interpretativa. L’ermeneutica deve rendere accessibile il testo, avvalendosi degli strumenti della critica filologica, ma deve restare aperta all’azione dello Spirito.
La critica storica non può reclamare che i propri risultati assurgano ad unico criterio interpretativo della Scrittura. Molto spesso tali risultati hanno precluso un ascolto attento alla Parola di Dio, ingenerando confusione e relegando la teologia biblica al rango di storia della religione. Da qui il compito successivo di dover “attualizzare” un messaggio che ai contemporanei risulta ostico e relegato al passato. In pratica, se la Bibbia non è Parola di Dio perché dovrebbe interessare l’uomo di oggi?
“La chiesa non può rinunciare a una dottrina dell’ispirazione, in questo l’Ortodossia protestante, il movimento “evangelical” e anche il magistero cattolico preconciliare hanno ragione. Tale dottrina, tuttavia, può essere soltanto (né desidera essere altro che) celebrazione credente del compiersi sempre nuovo della promessa legata al testo sacro, in una dinamica che non è prigioniera del testo né della chiesa, ma è racchiusa nella libertà sovrana (e, nella sua sovranità, infallibilmente fedele: qui e qui soltanto trova posto, se la si vuole utilizzare, la nozione di infallibilità) del Dio trinitario” .
“Dio parlò agli uomini mediante i loro sensi e fenomeni fisici come il pruno ardente e la colonna di fuoco, oppure con forme percettibili quali uomini e angeli. Viceversa, nel periodo profetico il metodo prevalente della rivelazione fu quello dell’ispirazione profetica interiore, nel senso che Dio parlò agli uomini mediante moti dello Spirito Santo nei loro cuori. Prevalentemente, dal tempo di Samuele in poi, la rivelazione soprannaturale fu una rivelazione nel cuore dei più riflessivi del popolo o, come l’abbiamo chiamata, un’ispirazione profetica senza alcun ausilio simbolico, percettibile ed esterno di Dio. Tale modo interiore della rivelazione giunge al culmine nel periodo del NT, che è l’epoca dello Spirito per eccellenza. La caratteristica speciale di questo tempo è la rivelazione per mezzo del medium della parola scritta, ciò che potremmo chiamare ispirazione apostolica piuttosto che profetica. Lo Spirito di rivelazione parla attraverso uomini scelti che usa come strumenti, i quali sono impiegati in modo tale che i più intimi moti della loro anima divengono il mezzo per il quale lo Spirito parla esternando i suoi pensieri” .
Appunto l’estrema debolezza dello strumento comunicativo scelto da Dio (visioni, sogni, interlocutori umani) ha gettato discredito sull’uso della rivelazione profetica, tanto che parte della critica moderna è scettica sulla loro reale natura, relegandola alla sfera psichica del recettore umano. Eppure la Scrittura non lascia spazio a congetture che vorrebbero esaltare l’aspetto umano della rivelazione a scapito di quello divino; difatti è affermato chiaramente che degli uomini hanno veicolato la pura Parola di Dio (cfr. Nm 22,35; 23,5.12.16; Dt 18,18; Is 51,16; 59,21; Ger 1,9; Ez 3,4). Anche qualora il profeta si avvalga di metodi e criteri umani per giungere all’intelligenza del messaggio da veicolare, tale ricerca rientra nella sovrintendenza dello Spirito (cfr. 2Pt 1,20-21). Spiega Warfield:
“Lo Spirito non deve essere concepito come al di fuori delle facoltà umane impiegate per l’effetto che si hain vista, pronto a supplire qualsiasi inadeguatezza che queste possano avere o a colmare le deficienze che manifestano. Piuttosto, deve essere visto come operante in modo confluente, in, con e per mezzo di queste facoltà: elevandole, dirigendole, controllandole e rafforzandole in modo che, come suoi strumenti, si elevino al di sopra di se stesse e, in virtù della sua ispirazione, compiano la sua opera raggiungendo il suo scopo. In questo modo, il risultato è ottenuto dallo Spirito tramite loro… Anche se in queste circostanze ciò che è compiuto è realizzato per l’azione delle facoltà dell’uomo e, quindi il risultato è davvero umano, pure l’opera confluente dello Spirito Santo attraverso tutto il processo, eleva tale risultato al di sopra di ciò che sarebbe stato possibile realizzare mediante le sole facoltà dell’uomo, facendo di esso un prodotto soprannaturale” .
La testimonianza scritturale, dunque, è concorde nell’attestare chiaramente la bontà e la validità dello strumento umano nel riferire la Parola di Dio, sempre che si accordi piena fiducia a questo strumento. Il metodo storico-critico sembra invece partire dalla pregiudiziale della piena dissonanza tra la forma comunicativa scelta da Dio e lo strumento utilizzato.
d) Principi espositivi.
1. Senso letterale.
È il significato letterale della Scrittura, dissero i riformatori, che ci condurrà a Cristo. L’allegoria nasconde Cristo. Il significato letterale conduce il credente a Cristo. disse Lutero:
“Colui che vuole leggere la Bibbia deve semplicemente fare attenzione a non errare, perché la Scrittura permette a chi la legge di farsi stendere e condurre; ma che nessuno la conduca secondo le sue proprie inclinazioni ma che piuttosto la conduca alla fonte, che è la croce di Cristo. Allora egli di sicuro colpirà il centro.”
Cristo è il “centro” della Scrittura, perché la Scrittura ci rivela la nostra salvezza e ci conduce a Cristo. Afferma Lutero: “Qualsiasi cosa non insegni Cristo non è apostolica, anche se San Pietro e San Paolo fossero quelli che la insegnano. Di nuovo, qualsiasi cosa predica Cristo è apostolica, anche se lo stessero facendo Giuda, Pilato, ed Erode”.
La Scrittura deve interpretare la Scrittura (Sacra Scriptura sui interpres). Questo significa semplicemente che nessuna parte della Scrittura può essere interpretata in modo da contrapporla a ciò che è chiaramente insegnato altrove nella Scrittura. Per esempio, se un dato verso ammette due spiegazioni o varianti d’interpretazione e una di quelle interpretazioni va contro il resto della Scrittura mentre l’altra è in armonia con essa, allora quest’ultima è l’interpretazione che deve essere usata.
Poiché si parte dal presupposto che Dio non può mai contraddire Se Stesso, è considerato ingiurioso per lo Spirito Santo scegliere un’interpretazione alternativa che porterebbe ingiustificatamente la Bibbia in conflitto con se stessa. L’analogia della fede mantiene la prospettiva sull’intera Bibbia, affinché non corriamo il rischio di esaltare una parte della Scrittura ad esclusione di altre.
Il senso letterale limita la nostra immaginazione dal divagare in interpretazioni fantasiose e ci invita ad esaminare attentamente le forme letterarie della Scrittura. Il termine “letterale” proviene dal Latino litera, che significa “lettera”. Interpretare qualcosa letteralmente significa fare attenzione alla litera, o le lettere o parole utilizzate. Interpretare la Bibbia letteralmente significa interpretarla come letteratura. In altre parole, il significato naturale di un passo deve essere interpretato secondo le normali regole di grammatica, lingua, sintassi e contesto.
La Bibbia è sicuramente un libro molto speciale, ispirato in modo unico dallo Spirito Santo, ma quell’ispirazione non trasforma le lettere delle parole o delle frasi dei capitoli in frasi magiche. Sotto ispirazione, un sostantivo rimane un sostantivo e un verbo rimane un verbo. Le domande non diventano esclamazioni, e le narrazioni storiche non diventano allegorie.

2. Analisi del genere

Il termine “genere” significa semplicemente “tipo”, “sorta” o “specie”. L’analisi del genere riguarda lo studio di cose come la forma letteraria, le figure retoriche e lo stile. Ad es. i miracoli, Giona; l’iperbole (un’affermazione volutamente esagerata per ottenere uno scopo). La personificazione (un espediente poetico con cui a oggetti inanimati o animali vengono attribuite caratteristiche umane, vedi Isaia 55:12).

3. La metafora.

Una metafora è una figura retorica con cui una parola o una frase che letteralmente denotano un tipo di oggetto o idea viene usata al posto di un’altra per suggerire una somiglianza o analogia tra di esse. Ad es. Gesù che dice “io sono la porta; se qualcuno entra per me, sarà salvato”.

Il metodo storico-grammaticale concentra la nostra attenzione sul significato originale del testo per trattenerci dal “leggere dentro le Scritture” le nostre idee tratte dal presente. La struttura grammaticale determina se le parole debbano essere prese come domande (interrogativo), comandi (imperativo) o dichiarativi (indicativo). Ad esempio, quando Gesù dice “Mi sarete testimoni” (Atti 1:8), sta facendo una predizione di un’azione futura oppure sta esprimendo un mandato sovrano? Anche se la forma in Italiano non è chiara, la struttura delle parole in Greco rende perfettamente chiaro che Gesù non sta indulgendo in una predizione del futuro, ma sta dando un comandamento.
Altre ambiguità di linguaggio possono essere chiarite e delucidate acquisendo una conoscenza pratica della grammatica. Per esempio, quando Paolo dice all’inizio della sua epistola ai Romani che egli è un apostolo chiamato a comunicare “il vangelo di Dio”, che cosa intende? Si riferisce al contenuto del vangelo, o alla sua origine? Intende in realtà “a proposito”, o è un genitivo possessivo? La risposta grammaticale determinerà se Paolo sta dicendo che sta per comunicare un vangelo che proviene da Dio o appartiene a Dio. Vi è una grande differenza tra i due, e può essere risolta solo con l’analisi grammaticale. In questo caso la struttura Greca rivela un genitivo possessivo, che risponde alla domanda per noi.

4. Critica testuale.

Per esempio, se seguissimo l’idea che Marco fu il primo vangelo ad essere scritto e che Matteo e Luca avessero il vangelo di Marco innanzi a loro mentre scrivevano, molte delle questioni sulla relazione tra i Vangeli potrebbero essere spiegate. Vediamo inoltre che sia Luca, sia Matteo disponevano di una fonte d’informazione che Marco non aveva o che scelse di non usare. Esaminando più a fondo, scopriamo che certe informazioni si trovano in Matteo, ma non in Marco o Luca, e informazioni che si trovano solamente in Luca. Isolando il materiale trovato solo in Matteo o solo in Luca, possiamo comprendere alcune cose sulle loro priorità e preoccupazioni nella redazione dei loro scritti. Sapere perché un autore scrive ciò che scrive ci aiuta a capire che cosa scrive. Nella lettura contemporanea è importante leggere la prefazione dell’autore perché vi sono generalmente esposte le ragioni e le preoccupazioni dello scritto.

5. Autore e data.

Se sappiamo chi scrisse un certo libro e sappiamo quando visse quella persona, allora chiaramente conosciamo il periodo generale in cui il libro fu scritto. Se sappiamo chi scrisse un libro, a chi lo indirizzò, in quali circostanze e periodo storico, abbiamo informazioni che ce ne facilitano molto la comprensione. Adoperando metodi di critica testuale possiamo isolare materiali comuni a particolari autori. Ad esempio, la maggior parte del materiale di cui disponiamo su Giuseppe si trova in Matteo perché questi scriveva ad un pubblico ebreo e gli Ebrei avevano domande legali riguardanti la dichiarazione di Gesù di essere il Messia. Il padre legale di Gesù era Giuseppe, e per Matteo era molto importante mostrarlo per stabilire la discendenza della tribù di Gesù.

6. Errori grammaticali.

Quando Martin Lutero disse “Le Scritture non errano mai”, intendeva che non errano mai rispetto alla verità di ciò che proclamano.

5. CONCLUSIONI.
Per concludere questo studio sulla terza via dell’esegesi biblica, vogliamo usare le parole di un grande studioso del messaggio biblico, con l’auspicio che il metodo storico-grammaticale possa offrire un valido contributo alla retta comprensione della Parola di Dio:
“Le Scritture vengono identificate con la rivelazione di Dio e sono concepite come un corpus ben definito. In questo modo, vi sono due concetti che si elevano davanti a noi, i quali hanno avuto un ruolo determinante nella storia del cristianesimo: il concetto di un canone della Scrittura autorevole e quello secondo cui, tale canone della Scrittura, corrisponde alla Parola di Dio scritta. Il primo salì alla ribalta a causa dell’opposizione delle eresie gnostiche, nell’epoca primitiva della chiesa. Tale idea di canone fece sorgere un ricco e variegato modi di parlare a riguardo delle Scritture che, mediante un linguaggio legale che si riferiva e si poggiava sull’impiego biblico di “legge”, accentuava la loro autorità. Fu compito della riforma rendere giustizia al secondo, combattendo, da un lato, l’avvilimento della Scrittura da parte della chiesa di Roma per favorire le proprie tradizioni e, dall’altro, il fanatismo di “entusiasti” che la esaltavano per favorire la loro “parola interiore”… Ciò che bisogna riconoscere è che le Scritture rappresentano se stesse non come se contenessero qua e là una qualche rivelazione da Dio, ossia parole di Dio ma, nel loro insieme, come una rivelazione autorevole ed un insegnamento pieno di grazia proveniente da Dio. In altri termini, siccome di tutte le rivelazioni che Dio può aver concesso sono le sole ancora esistenti, costituiscono l’unica “Parola di Dio”, l’unica “rivelazione” accessibile agli uomini e sono, in ogni loro parte “legge”, ossia l’ammaestramento autorevole di Dio” .
Deo gratias!
6. APPENDICI
Dichiarazione di Chicago 1978 sull’inerranza biblica
Dal 26 al 28 ottobre 1978 si tenne a Chicago un congresso per chiarire il significato della totale veracità della Scrittura. Presieduto da J.M. Boice e animato dal segretario Jay H. Grimstead, esso raccolse 268 partecipanti provenienti da diverse chiese, facoltà e scuole. Dopo un ampio dibattito si giunse alla Dichiarazione che segue. Essa fu firmata da 240 partecipanti al congresso stesso ed ebbe una larga eco nel mondo teologico mondiale. La commissione che redasse la dichiarazione era formata da Edmund Clowney, James I. Packer, R.C. Sproul, Roger R. Nicole, Earl D. Radmacher, Harold W. Hoehner, Norman L. Geisler, Donald E. Hoke.

PREMESSA
Nel nostro tempo, e in ogni tempo, l’autorità della Scrittura è stata una questione strategica per la chiesa. Coloro che dichiarano di credere in Gesù Cristo come Signore e Salvatore devono mostrare di essere veramente suoi discepoli sottomettendosi alla Parola scritta di Dio umilmente e fedelmente. Allontanarsi dalla Scrittura nella propria fede o nella propria condotta vuol dire non seguire più lealmente il Maestro. Per cogliere pienamente e confessare come si conviene l’autorità della Scrittura è necessario riconoscerla come totalmente veridica e degna di fede.
La dichiarazione che segue riafferma questa inerranza della Scrittura, spiega chiaramente il significato che noi le attribuiamo, infine avverte contro il rischio d’abbandonare questa dottrina.
Siamo convinti che negare l’inerranza biblica significa respingere la testimonianza di Gesù Cristo e dello Spirito Santo e rifiutare questa obbedienza alle asserzioni della Parola stessa di Dio che caratterizza la fede cristiana autentica. Riteniamo che sia nostro preciso dovere affermare la verità dell’inerranza nel nostro tempo: alcuni dei nostri fratelli, infatti, non la professano più e nel mondo in generale si constata una notevole incomprensione in proposito.
Questa dichiarazione comprende tre parti: un riassunto, degli articoli in cui esprimiamo la nostra convinzione in modo affermativo e negativo, un’esposizione che spiega gli articoli stessi.
Essa è stata redatta nel corso di un congresso di tre giorni a Chicago. I firmatari della dichiarazione riassuntiva e degli articoli vogliono affermare ciò che essi credono in rapporto all’inerranza della Scrittura e incoraggiarsi e stimolarsi mutuamente, come pure incoraggiare e stimolare tutti gli altri cristiani a credere nell’intelligenza di questa dottrina e nella sua importanza. Siamo coscienti dei limiti di un documento preparato in occasione di un congresso con un programma assai intenso; pertanto non proponiamo di conferire a questa dichiarazione lo statuto di una confessione di fede.
Ci rallegriamo però d’aver potuto approfondire le nostre convinzioni grazie agli scambi che abbiamo potuto avere e chiediamo a Dio d’utilizzare la dichiarazione che noi abbiamo firmato per la sua gloria, per una nuova riforma della fede, della vita e della missione della chiesa.
Presentiamo questa dichiarazione non tanto in uno spirito di contesa ma d’umiltà e amore, e in questo spirito vogliamo restare, per grazia di Dio, nel corso di tutto il dialogo che susciterà nell’avvenire. Riconosciamo con gioia che diversi di coloro che respingono l’inerranza della Scrittura non traggono da ciò le relative conseguenze per il resto della loro dottrina e del loro comportamento, mentre noi che confessiamo questa dottrina spesso la neghiamo nella nostra vita ed evitiamo di sotto mettere veramente i nostri pensieri e i nostri atti, le nostre tradizioni e le nostre usanze alla Parola di Dio. Invitiamo chiunque pensi di dover correggere questa dichiarazione sulla Scrittura, alla luce della Scrittura stessa, a risponderci poiché poniamo questa dichiarazione sotto l’autorità della Scrittura. Nella testimonianza che rendiamo non abbiamo alcuna pretesa di infallibilità; accoglieremo dunque con gratitudine ogni aiuto che ci consentirà di rinforzare questa testimonianza alla Parola del nostro Dio.
I redattori della dichiarazione

Dichiarazione riassuntiva
1. Dio, che è lui stesso la verità e che dice sempre il vero, ha ispirato la santa Scrittura per rivelarsi attraverso essa agli uomini perduti, per rivelarsi in Gesù Cristo come Creatore e Signore, il Redentore e il Giudice. La santa Scrittura è la testimonianza che Dio rende di se stesso.
2. La santa Scrittura, che è la Parola stessa di Dio, scritta da uomini preparati e guidati dallo Spirito Santo, ha un’autorità divina infallibile su tutti gli argomenti che tratta: noi dobbiamo crederla, come insegnamenti di Dio, in tutto ciò che prescrive; noi dobbiamo attaccarci ad essa, come impegno di Dio, in tutto ciò che ci promette.
3. Lo Spirito Santo, il suo divino autore, ci assicura della verità della Scrittura attraverso la sua testimonianza interiore e ci apre, nello stesso modo, l’intelligenza affinché noi possiamo comprendere il senso delle parole.
4. Totalmente e verbalmente ispirata da Dio, la Scrittura è esente da errori in tutto il suo insegnamento, non meno in ciò che dichiara a riguardo degli atti creativi di Dio e degli avvenimenti della storia del mondo.
5. Si lede inevitabilmente l’autorità della Scrittura se si limita o si trascura in qualunque modo questa totale inerranza divina o se 1a si sottomette ad una concezione della verità contraria alla concezione biblica; la vita dell’individuo e quella della chiesa soffrirebbero gravemente per questa mancanza.
II. ARTICOLI
Art. 1 – Affermiamo che bisogna ricevere le sante Scritture come la Parola di Dio rivestita della sua stessa autorità. Respingiamo l’opinione secondo cui le Scritture riceverebbero la loro autorità dalla chiesa, dalla tradizione o da qualunque altra fonte umana.
Art. 2 – Affermiamo che le Scritture sono la norma scritta suprema attraverso cui ogni coscienza è legata a Dio e che l’autorità della chiesa è subordinata a quella della Scrittura. Respingiamo l’opinione secondo cui le confessioni di fede della chiesa, i suoi concili o le sue dichiarazioni avrebbero un’autorità superiore o uguale all’autorità della Bibbia.
Art. 3 – Affermiamo che la Parola scritta è integralmente rivelazione che procede da Dio. Respingiamo l’opinione secondo cui la Bibbia non sarebbe che una testimonianza alla rivelazione o che diverrebbe rivelazione solo nell’avvenimento dell’incontro o che dipenderebbe, per essere efficace, dalla risposta degli uomini.
Art. 4 – Affermiamo che Dio, che ha fatto l’umanità a sua immagine, ha impiegato il linguaggio come un modo per rivelarsi. Respingiamo l’opinione secondo cui il linguaggio umano sarebbe talmente caratterizzato dalla nostra finitudine creazionale da diventare inadeguato per trasmettere la rivelazione divina. Respingiamo pure l’opinione secondo cui la corruzione del linguaggio e della cultura ad opera del peccato avrebbe reso vana l’opera divina dell’ispirazione.
Art. 5 – Affermiamo che la rivelazione di Dio nelle sante Scritture è stata progressiva. Respingiamo l’opinione secondo cui una rivelazione successiva (che può realizzare una rivelazione anteriore) potrebbe correggerla o contraddirla. Escludiamo pure che una rivelazione normativa sia stata data posteriormente alla ultimazione degli scritti del Nuovo Testamento.
Art. 6 – Affermiamo che la Scrittura nella sua totalità e nelle sue parti, anche per ciò che concerne le stesse parole dell’originale, è stata data per ispirazione divina. Respingiamo l’opinione secondo cui la Scrittura sarebbe ispirata nel suo insieme, ma non nei dettagli, o, al contrario, in certe parti, ma non nella sua totalità.
Art. 7 – Affermiamo che l’ispirazione è stata l’opera di Dio: Dio ci ha comunicato la sua Parola attraverso il suo Spirito per mezzo di uomini che l’hanno scritta. La Scrittura è di origine divina. Il modo dell’ispirazione divina rimane, per noi, in grande misura misteriosa. Respingiamo l’opinione che riduce l’ispirazione a una forma di intuizione umana o ad uno stato d’esa1tazione della coscienza.
Art. 8 – Affermiamo che Dio, nell’opera dell’ispirazione, ha utilizzato le caratteristiche della personalità propria degli autori che egli aveva scelto e preparato, come pure il loro stile personale. Respingiamo l’opinione secondo cui Dio avrebbe soffocato la loro personalità nel far loro scrivere le parole che egli aveva scelto.
Art. 9 – Affermiamo che l’ispirazione, senza conferire l’onnipotenza, ha garantito che le affermazioni degli autori biblici siano vere e degne di fiducia su tutti i soggetti di cui hanno parlato e scritto. Respingiamo l’opinione secondo cui la finitudine o la natura peccaminosa di questi autori avrebbe, necessariamente o no, introdotto qualche falsità e distorsione nella Parola di Dio.
Art. 10 – Affermiamo che l’ispirazione in senso stretto vale solo per i testi autografi, testi che i manoscritti giunti fino a noi (Dio vi ha vegliato nella sua provvidenza) permettono di stabilire con una grande esattezza. Affermiamo ancora che le copie e le traduzioni delle Scritture sono la Parola di Dio nella misura in cui rispecchiano fedelmente l’originale. Respingiamo l’opinione secondo cui l’assenza degli autografi renderebbe problematico qualche aspetto essenziale della fede cristiana. Neghiamo inoltre che questa assenza invalidi l’affermazione dell’inerranza biblica o le tolga il suo significato.
Art. 11 – Affermiamo che la Scrittura, divinamente ispirata, è infallibile in modo tale che, lungi dallo sviarci, essa è vera e sicura su tutti i punti di cui tratta. Rigettiamo l’opinione secondo cui la Bibbia potrebbe essere infallibile ed errare nello stesso tempo. Si può distinguere tra infallibilità ed inerranza, ma non separarle.
Art. 12 – Affermiamo che la Scrittura nella sua totalità è inerrante, esente da ogni falsità, frode o inganno. Respingiamo l’opinione che limita l’infallibilità e l’inerranza della Bibbia ai temi spirituali, religiosi o inerenti alla redenzione ed esclude le affermazioni relative alla storia e alle scienze. Dichiariamo inoltre illegittimo l’impiego di ipotesi scientifiche sulla storia della terra per capovolgere l’insegnamento della Scrittura intorno alla creazione e al diluvio.
Art. 13 – Affermiamo che il termine inerranza conviene, come termine teologico, per caratterizzare l’intera verità della Scrittura. Respingiamo la pratica che impone alla Scrittura dei canoni d’esattezza e di veracità estranei al suo modo e al suo scopo. Respingiamo l’opinione secondo cui l’inerranza verrebbe meno quando si incontrerebbero caratteristiche come le seguenti: assenza di precisione tecnica intesa in senso moderno, irregolarità della grammatica o dell’ortografia, riferimento ai fenomeni della natura tali quali si presentano all’osservazione, menzione di parole false ma che sono solo riportate, uso dell’iperbole e di numeri arrotondati, adattamento tematico delle cose raccontate, diversità nella selezione dei particolari quando due o più racconti sono paralleli, uso di citazioni libere.
Art. 14 – Affermiamo l’unità e l’armonia intera della Scrittura. Respingiamo l’opinione secondo cui gli elementi ritenuti erronei e le contraddizioni non ancora risolte invaliderebbero ciò che la Bibbia dice relativamente alla propria verità.
Art. 15 – Affermiamo che la dottrina dell’inerranza si fonda sull’insegnamento della Bibbia relativo alla sua ispirazione. Respingiamo l’opinione secondo cui si potrebbe trascu rare l’insegnamento di Gesù sulla Scrittura invocando da parte sua un adattamento alle idee del suo tempo o qualche limitazione naturale della sua umanità.
Art. 16 – Affermiamo che la dottrina della inerranza ha fatto parte integrante della fede della chiesa lungo tutto il corso della sua storia. Respingiamo l’opinione secondo cui l’inerranza è una dottrina inventata dalla scolastica protestante o una reazione nata dall’opposizione all’alta critica negativa.
Art. 17 – Affermiamo che lo Spirito Santo rende testimonianza alle Scritture assicurando i credenti intorno alla verità della Parola scritta di Dio. Respingiamo l’opinione secondo cui questa testimonianza dello Spirito Santo potrebbe separarsi dalla Scrittura oppure contraddirla.
Art. 18 – Affermiamo che bisogna interpretare la Scrittura per mezzo di una esegesi grammaticale e storica tenendo conto delle forme e dei procedimenti letterari e che bisogna interpretare la Scrittura attraverso la Scrittura. Respingiamo come qualcosa di illegittimo ogni utilizzazione del testo o ogni ricerca delle sue fonti che conduca a relativizzarne o negarne la storicità o che faccia rifiutare le sue indicazioni quanto agli autori umani.
Art. 19 – Affermiamo di primaria importanza per la sana ed intera comprensione della fede cristiana la confessione della piena autorità, infallibilità e inerranza della Scrittura. Affermiamo inoltre che una confessione del genere dovrebbe condurci a conformarci sempre più alla immagine di Cristo. Respingiamo l’opinione secondo cui tale confessione sarebbe necessaria alla salvezza. Tuttavia respingiamo anche l’opinione secondo cui si potrebbe negare l’inerranza senza che ne derivino gravi conseguenze sia per il credente che per la chiesa.

III. SPIEGAZIONE
La nostra comprensione della dottrina dell’inerranza deve collocarsi nel più vasto contesto dell’insegnamento della Scrittura su se stessa. La spiegazione che segue tratteggia lo schema dottrinale da cui sono derivate la dichiarazione riassuntiva e gli articoli.
1. Creazione, rivelazione, ispirazione
Il Dio trinitario che ha formato tutto attraverso i suoi comandamenti creatori e che governa tutto attraverso la sua parola, ha fatto l’uomo a sua immagine affinché l’uomo viva in comunione con lui secondo il modello dell’eterna comunione d’amore esistente in seno alla divinità. Creato ad immagine di Dio, L’essere umano doveva ascoltare la Parola che Dio gli rivolgeva e rispondere nell’obbedienza gioiosa dell’adorazione. Oltre alla manifestazione di Dio nell’ordine della creazione e nei successivi avvenimenti da cui è stato creato l’universo, gli esseri umani hanno ricevuto dal Creatore dei messaggi verbali sia direttamente, come attesta la Scrittura, sia indirettamente, sotto forma del testo scritturale o di una parte di esso.
Quando Adamo è caduto il Creatore non ha abbandonato l’umanità a una condanna definitiva, ma ha promesso la salvezza e ha cominciato rivelarsi come Redentore in una serie di avvenimenti storici legati soprattutto alla famiglia d’Abramo e culminanti nella vita, morte e risurrezione di Gesù Cristo, nel suo attuale ministero celeste e nel suo ritorno. In questo contesto, in diversi momenti, Dio ha pronunciato precise parole di giudizio e di misericordia, di promessa e di comandamento. Esse sono state rivolte a dei peccatori per farli entrare in un’alleanza con lui, ciò vuol dire un reciproco impegno in cui egli li benedice con i suoi benefici doni ed essi rispondono nell’adorazione. Mosè, che fu mediatore stabilito da Dio per portare le sue parole al suo popolo in occasione dell’esodo, inaugura una lunga lista di profeti sulle cui bocche e nei cui scritti Dio ha posto le sue Parole per Israele. Attraverso questi messaggi successivi Dio voleva mantenere la sua alleanza facendo conoscere al suo popolo il suo Nome (cioè la sua natura) e la sua volontà per il presente e il futuro attraverso i suoi precetti e i suoi disegni. La linea dei portaparola profetici di Dio giunge a compimento in Gesù Cristo, la Parola di Dio incarnata, essendo lui stesso un profeta (anzi più che un profeta) e negli apostoli e profeti della prima generazione cristiana. Con l’ultimo e supremo messaggio di Dio, la sua parola al mondo relativa a Gesù Cristo pronunciata e spiegata dai membri del circolo apostolico, la serie dei messaggi rivelazionali di Dio è terminata. La chiesa doveva vivere e conoscere Dio attraverso quanto egli aveva già detto e detto per tutti i tempi.
A1 Sinai Dio ha scritto le clausole dell’alleanza su delle tavole di pietra quale testimonianza durevole e accessibile. Nel corso del periodo della rivelazione profetica ed apostolica, egli ha spinto degli uomini a scrivere i messaggi da lui ricevuti e ad accompagnarli col racconto dei suoi interventi nella storia del suo popolo, con le riflessioni morali sulla vita nel contesto dell’alleanza, con ogni sorta di lodi e preghiere relative alla grazia di Dio nell’alleanza. Dal punto di vista teologico l’ispirazione che ha prodotto gli scritti biblici corrisponde a quella delle profezie orali. Benché la personalità degli autori umani abbia avuto modo di esprimersi nei loro scritti, Dio ne ha fissato i termini. Così ciò che dice la Scrittura lo dice Dio; l’autorità della Scrittura è la sua autorità poiché egli ne è l’Autore ultimo. La Scrittura ci è stata data attraverso i pensieri e le espressioni di questi uomini scelti e preparati che «hanno parlato da parte di Dio» liberamente e fedelmente, in quanto erano spinti dallo Spirito Santo (2 Pietro 1:21). In virtù di questa sua divina origine la Scrittura merita di essere riconosciuta come la Parola di Dio.
2. Autorità: Cristo e la Bibbia
Gesù Cristo, ii Figlio di Dio, la Parola fatta carne, il nostro Profeta, Sacerdote e Re, è l’ultimo Mediatore della comunicazione di Dio con l’uomo e di tutti i doni della grazia. La rivelazione che egli portava era più che verbale; essa rivelava il Padre sia attraverso la sua presenza che attraverso i suoi atti. Così le sue parole possiedono una importanza fondamentale. In quanto Dio parlava come avendo tutto dal Padre e le sue parole giudicheranno gli uomini nell’ultimo giorno.
Come Messia annunciato dai profeti Gesù Cristo è il centro della Scrittura. L’Antico Testamento spera in lui mentre il Nuovo Testamento proclama la sua prima venuta e rilancia la speranza nell’attesa del suo ritorno. La Scrittura canonica è la testimonianza divinamente ispirata, e dunque normativa, resa al Cristo. Ne deriva che ogni ermeneutica che non abbia come punto focale il Cristo storico è inaccettabile. Bisogna considerare la sacra Scrittura come ciò che essa essenzialmente è, la testimonianza del Padre al Figlio incarnato. Sembra che il canone dell’Antico Testamento fosse definito ai tempi di Gesù.
Similmente anche il canone del Nuovo Testamento è oggi chiuso in quanto non è possibile rendere alcuna nuova testimonianza al Cristo storico. Non vi è nessuna nuova rivelazione (da distinguere con l’intelligenza accordata dallo Spirito per la comprensione della rivelazione esistente) che potrà essere aggiunta alla Scrittura fino al ritorno di Cristo. Nel suo principio è l’ispirazione divina che ha fatto il canone. Dal canto suo la Chiesa non ha fatto che discernere il canone che Dio aveva prodotto, ma non lo ha inventato da sé.
Il termine canone, che significa «regola», evoca l’autorità e cioè il diritto di reggere e governare. Nel cristianesimo l’autorità appartiene a Dio nella sua rivelazione: ciò significa che da un lato essa appartiene a Gesù Cristo quale Parola vivente e dall’altro alla sacra Scrittura quale parola scritta. Ma l’autorità di Cristo e quella della Scrittura costituiscono una medesima realtà. Cristo nostro Profeta attesta che la Scrittura non può essere abolita. Come Sacerdote e Re egli ha consacrato la sua vita al compimento della legge e dei profeti fino a morire nell’obbedienza alle profezie messianiche. Allo stesso modo in cui ha riconosciuto nella Scrittura ia testimonianza alla sua autorità personale cosi, sottomettendosi ad essa, ha reso testimonianza all’autorità della Scrittura. Come si è inchinato davanti all’istruzione di suo Padre nella Bibbia (il nostro Antico Testa mento), così egli chiede ai suoi discepoli di fare 1o stesso. Tale esigenza non si riferisce più soltanto all’Antico Testamento, ma anche alla testimonianza che gli apostoli gli hanno reso e che egli stesso ha ispirato donando loro il suo Spirito. I cristiani si mostrano i fedeli servitori del loro Signore inchinandosi davanti all’istruzione divina dispensata negli scritti profetici ed apostolici che nel loro insieme costituiscono la nostra Bibbia.
Autenticandosi reciprocamente, Cristo e la Scrittura diventano un’unica fonte d’autorità. Da questo punto di vista Cristo, interpretato dalla Scrittura, e la Bibbia, che proclama Cristo quale suo centro, sono uno. Dal fatto dell’ispirazione abbiamo concluso che ciò che è detto dalia Scrittura lo dice Dio; dalia relazione tra Gesù Cristo e la Scrittura quale essa ci è rivelata possiamo ugualmente dire che ciò che è detto dalla Scrittura lo dice Cristo.
3. Infallibilità, inerranza, interpretazione
La sacra Scrittura, Parola ispirata da Dio, testimonianza autorizzata resa a Gesù Cristo, sarà giustamente detta infallibile e inerrante. Questi termini negativi sono particolarmente preziosi perché salvaguardano in modo esplicito delle verità positive d’importanza cruciale. Infallibile significa che non inganna e non si inganna. Tale aggettivo salvaguarda in modo categorico il fatto che la sacra Scrittura è una regola e una guida sicura e certa per ogni soggetto.
Inerrante, allo stesso modo, significa che è esente da ogni falsità o da ogni errore. L’aggettivo salvaguarda il fatto che la Scrittura è interamente vera e degna di fede in tutte le sue affermazioni.
Noi affermiamo che la Scrittura canonica dovrebbe essere sempre interpretata sulla base della sua infallibilità e della sua inerranza. Quando tuttavia determiniamo ciò che l’autore istruito da Dio enuncia in un certo passaggio dobbiamo prestare la più grande attenzione alla presentazione e al carattere del testo in quanto produzione umana. Ispirando i redattori con il suo messaggio Dio ha utilizzato la cultura e le convenzioni dell’ambiente di questi uomini. Ora tale ambiente è retto dalla sovrana provvidenza di Dio e immaginare diversamente significa interpretare in modo scorretto.
Così bisogna trattare la storia come storia, la poesia come poesia, le iperboli e le metafore come delle iperboli e delle metafore, le generalizzazioni e le approssimazioni come tali e così di seguito. Bisogna rispettare le differenze che esistono tra le convenzioni letterarie dei tempi biblici e le nostre. Per esempio, allora si accettavano come del tutto abituali racconti in ordine non cronologico e citazioni imprecise; per questo noi non dobbiamo considerare queste cose come degli errori quando li ritroviamo negli scritti biblici. Poiché non ci si attendeva, né si cercava una precisione totale (in un ordine o in un altro), non si può dire vi sia errore se tale precisione non è raggiunta. La Scrittura è inerrante non tanto nel senso che essa si conformerebbe perfettamente ai canoni moderni di precisione, ma nel senso che essa mantiene le sue promesse di veracità e realizza questa espressione della verità che gli autori avevano di mira.
La presenza nella Bibbia di irregolarità grammaticali od ortografiche, di descrizioni di fatti naturali secondo le apparenze, di menzioni di false proposizioni (per esempio, le menzogne di Satana) o di apparenti divergenze tra passaggi diversi, non smentiscono l’intera veracità della Scrittura. Non si ha il diritto di contrapporre questi pretesi «fenomeni» della Scrittura all’insegnamento della Scrittura su se stessa. Non si tratta di ignorare le difficoltà. Se certe difficoltà trovano soluzioni convincenti ciò incoraggia la nostra fede; se d’altro lato, per il momento, non se ne trovano noi rendiamo gloria a Dio credendo nella sua Parola in quanto vera, come egli ci assicura malgrado le apparenze e continuando ad aspettare con fiducia il giorno che dissiperà tali difficoltà come anche le illusioni. Poiché la Scrittura è il prodotto dell’unica intelligenza divina l’interpretazione deve rispettare le linee tracciate dall’analogia della Scrittura, deve respingere le correzioni ipotetiche di un passaggio biblico da parte di un altro, sia che queste correzioni vengano proposte in nome dell’idea di rivelazione progressiva, sia che si sostenga l’insufficienza della mente dello scrittore ispirato.
Anche se la sacra Scrittura non è da nessuna parte legata alla cultura del suo tempo nel senso che il suo insegnamento non avrebbe validità universale, essa è talvolta condizionata culturalmente dagli usi e dalle convenzioni d’un periodo particolare in modo tale che l’applicazione dei suoi principi prende oggi una forma modificata.
4. Scetticismo e critica
A partire dal rinascimento e soprattutto dall’illuminismo si assiste alla costruzione di concezioni del mondo scettiche quanto alle convinzioni cristiane fondamentali. É il caso dell’agnosticismo, che nega che Dio sia conoscibile; del razionalismo, che nega la sua comprensibilità; dell’idealismo, che nega la sua trascendenza, e dell’esistenzialismo, che nega la razionalità delle sue relazioni con noi. Quando questi principi non biblici e antibiblici s’insinuano nella teologia a livello dei presupposti (è ciò che spesso avviene al giorno d’oggi) diventa impossibile interpretare fedelmente la sacra Scrittura.
5. Trasmissione e traduzione
Poiché Dio non ha mai promesso che la Scrittura sarebbe stata trasmessa senza errori, bisogna affermare che solo il testo autografo dei documenti originali è stato ispirato e che la critica testuale è necessaria per riconoscere ogni alterazione che si sarebbe introdotta nel testo nel corso della sua trasmissione. La conclusione di questo lavoro scientifico tuttavia è che il te sto ebraico e greco appare estremamente ben conservato in modo tale che abbiamo il diritto d’affermare, con la Confessione di Westminster, che Dio vi ha specialmente vegliato nella sua provvidenza e che l’autorità della Scrittura non è minacciata se noi possediamo dei manoscritti che sono totalmente senza errori.
Allo stesso modo nessuna traduzione è perfetta, né può esserlo, e ogni traduzione ci allontana un altro po’ dagli autografi. Le scienze del linguaggio permettono tuttavia di dichiarare, che i cristiani di lingua inglese sono, almeno nel nostro tempo, estremamente ben serviti da un’ampia gamma di traduzioni eccellenti; senza esitazioni possiamo affermare che la Parola di Dio è alla loro portata. La Scrittura ripete così insistentemente le sue principali affermazioni, e lo Spirito Santo rende così bene testimonianza nella e per mezzo della Parola, che nessuna seria traduzione della Scrittura potrà distruggere il suo senso al punto che non sia più dato al lettore di essere «savio a salute per la fede in Cristo Gesù» (2Tm 3,15).
6. lnerranza e autorità
Quando affermiamo l’autorità della Scrittura e il fatto che essa implichi la sua verità totale abbiamo coscienza di collocarci nella scia di Cristo e dei suoi apostoli: in realtà con tutta la Bibbia e con la maggior parte della chiesa dai primi giorni ad oggi. Ciò che ci preoccupa è il modo superficiale, sbadato e apparentemente irriflessivo col quale diversi, nel nostro tempo, abbandonano un articolo di fede d’una sì grande importanza.
Siamo anche consapevoli della grande e grave confusione che deriva dall’abbandono della fede nella totale verità della Bibbia pur professando di riconoscerne sempre l’autorità. La Bibbia che Dio ha dato perde infatti la sua autorità. Ne risulta che ciò che possiede autorità è una Bibbia ridotta nel suo con- tenuto secondo le esigenze dei ragionamenti critici e che nulla di principio impedirà di ridurre ulteriormente. In fondo è una ragione indipendente che detiene allora l’autorità e non l’insegnamento scritturale. Se manca la lucidità su questo punto e se per un tempo si mantengono le dottrine evangeliche principali risulterà che persone, che negano l’intera verità della Scrittura, potranno rivendicare il titolo di evangelici mentre da un punto di vista metodologico si sono allontanate dal principio evangelico della conoscenza e hanno cominciato a slittare verso un soggettivismo instabile e avranno grande difficoltà a non allontanarsi ulteriormente.
Affermiamo che ciò che la Scrittura dice, Dio lo dice. Sia egli glorificato. Amen! Amen!

Dichiarazione di Chicago sull’ermeneutica biblica (1982)
La questione dell’autorità, dell’ispirazione e dell’inerranza della Scrittura ha sempre avuto un posto di rilievo nella riflessione evangelica, mentre quella dell’interpretazione ne ha avuto un po’ meno. La dichiarazione qui presentata costituisce un punto di riferimento importante e fu fatta a seguito del Congresso di Chicago dal 10 al 13 novembre. Ad esso parteciparono un centinaio di studiosi che con le loro relazioni e contro-relazioni diedero luogo ad una imponente documentazione di quasi mille pagine.
PREMESSA
Lo scopo del primo congresso del Consiglio internazionale per l’inerranza biblica (24-28 ottobre 1978) fu quello di riaffermare la dottrina dell’inerranza precisandone il contenuto e respingendone le deformazioni.
Dopo quattro anni si ritenne opportuno affrontare anche il tema dell’ermeneutica. L’affermazione dell’inerranza della Scrittura era stata senz’altro necessaria per sottolinearne l’autorità, ma era chiaro che l’adesione ad una simile dottrina avrebbe acquistato il suo valore nella misura in cui sarebbe stato ben interpretato il messaggio della Scrittura. Di qui la necessità di questo secondo congresso che ebbe luogo dal 10 al 13 novembre 1982 a Chicago. Ad esso parteciparono 55 studiosi e 50 osservatori rappresentanti una notevole varietà di chiese, università e organizzazioni. I venticinque articoli che seguono furono redatti da un comitato composto da Carl F.H. Henry, J.I. Packer, Robert Preus, Earl Radmacher, Norman Geisler, Vern Poythress e Roger Nicole e fu sottoscritto da 78 partecipanti al seguito delle varie relazioni e dei vari interventi.
DICHIARAZIONE
Art. 1. Affermiamo che l’autorità normativa delta sacra Scrittura è l’autorità di Dio stesso attestata da Gesù Cristo Signore della chiesa. Respingiamo in quanto illegittima ogni separazione tra l’autorità di Cristo e quella della Scrittura, o una contrapposizione tra l’uno e l’altra.
Art. 2. Affermiamo che come Cristo è Dio e Uomo nel medesimo tempo in una sola Persona così la Scrittura è, in modo indivisibile, Parola di Dio in linguaggio umano. Respingiamo l’idea secondo la quale il carattere umilmente umano della Scrittura la renderebbe soggetta ad errore, così come l’umanità di Gesù fin nella sua umiliazione non implica alcun peccato.
Art. 3. Affermiamo che tutta la Scrittura ha per centro la Persona e l’opera di Gesù Cristo. Respingiamo come non corretta ogni interpretazione della Scrittura che nega o pone nell’ombra il cristo-centrismo della Scrittura.

Art. 4. Affermiamo che 1 Spirito Santo che ha ispirato la Scrittura agisce ancora oggi attraverso la medesima per suscitare la fede nel suo messaggio. Respingiamo la possibilità che lo Spirito Santo conduca ad una comprensione dell’insegnamento biblico che sia contraria alla Scrittura stessa.
Art. 5. Affermiamo che Io Spirito Santo rende capaci i credenti di comprendere la Scrittura e di applicarla alta loro vita. Respingiamo l’idea che l’uomo naturale abbia la capacità di discernere spiritualmente il messaggio della Bibbia al di fuori dell’azione dello Spirito Santo.
Art. 6. Affermiamo che la Bibbia esprime la verità di Dio in forma di proposizioni e dichiariamo che la verità biblica è nel medesimo tempo oggettiva e assoluta. Precisiamo inoltre che una proposizione è vera quando essa rappresenta le cose tali quali sono ed è per contro falsa quando essa le snatura. Respingiamo, anche se la Scrittura ha la funzione di renderci savi a salute, che la sua verità possa essere ridotta a quest’unico compito; rifiutiamo inoltre di limitare la definizione dell’errore all’inganno deliberato.
Art. 7. Affermiamo che il senso di un testo biblico è unico, definito e stabile. Respingiamo l’idea che quest’unico senso escluda la diversità delle applicazioni.
Art. 8. Affermiamo che la Bibbia contiene insegnamenti cd esigenze che si applicano a tutte le culture e a tutte le situazioni, mentre altre, secondo quanto la Bibbia stessa mostra, riguardano solo certe situazioni particolari. Respingiamo l’idea che la distinzione tra esigenze universali ed esigenze particolari della Scrittura possa essere fatta in base ai fattori culturali e ambientali. Neghiamo inoltre che le esigenze universali possano essere relativizzate in quanto dipendenti da una tal cultura o dalla tal altra situazione.
Art. 9. Affermiamo che il termine «ermeneutica», che da un punto di vista storico designa le regole dell’esegesi, può essere usato per far riferimento a tutto quel processo della percezione del senso della rivelazione biblica e al suo impatto sulla nostra vita. Respingiamo l’idea secondo la quale il messaggio della Scrittura proviene, o è dettato, dalla comprensione che ne ha il suo interprete. Respingiamo dunque la teoria secondo la quale l’«orizzonte» dell’autore biblico e quello dell’interprete debbano fondersi in modo tale che l’interpretazione possa distaccarsi dal senso espresso dalla Scrittura.
Art. 10. Affermiamo che 1a Scrittura ci comunica la verità di Dio in espressioni provenienti da una grande varietà di generi letterari. Respingiamo l’idea che i limiti del linguaggio umano rendano la Scrittura inadeguata per comunicare il messaggio di Dio.
Art. 11. Affermiamo che le traduzioni del testo della Scrittura ci fanno conoscere Dio al di là delle barriere temporali o culturali. Respingiamo l’idea che il senso dei testi biblici sia talmente legato ai contesti culturali dai quali provengono da renderne impossibile la comprensione dello stesso senso nelle altre culture.
Art. 12. Affermiamo che coloro che traducono la Bibbia o l’insegnamento nel contesto di ogni cultura debbano utilizzare delle equivalenze fedeli al contenuto dell’insegnamento biblico. Respingiamo come illegittimo ogni metodo che non tiene conto delle esigenze della comunicazione tra culture differenti o che distorce iI senso del testo biblico.
Art. 13. Affermiamo che per una corretta esegesi è essenziale tenere conto del genere letterario, della forma e dello stile delle diverse parti della Scrittura. Per questa ragione riteniamo che lo studio dei generi letterari applicati alla Scrittura sia una disciplina legittima. Respingiamo la pratica degli interpreti che attribuiscono a racconti biblici che si presentano come storici dei generi letterari che escludono la storicità.
Art. 14. Affermiamo che gli avvenimenti, le parole e i discorsi riportati dalla Scrittura nelle varie forme letterarie sono conformi a fatti storici. Respingiamo ogni teoria che sostiene che gli avvenimenti, le parole e i discorsi riportati dalla Scrittura sono stati inventati dagli autori biblici o dalle tradizioni che essi hanno incorporato nel testo.
Art. 15. Affermiamo che è necessario interpretare la Bibbia secondo il suo senso letterale o naturale. Il senso letterale è il senso storico-grammaticale, cioè quello espresso dall’autore. L’interpretazione secondo il senso letterale tiene conto di tutte le figure di stile e di tutte le forme letterarie del testo. Respingiamo come illegittimo ogni approccio alla Scrittura che attribuisce al testo un significato che il senso letterale non suffraga.
Art. 16. Affermiamo che per stabilire il testo esatto di un passaggio canonico e il suo significato si devono utilizzare le dovute tecniche critiche. Respingiamo come illegittimi i metodi di critica biblica che pongono in discussione la verità o l’integrità di senso di un testo, senso dato dal suo autore, come pure ogni altro insegna mento della Scrittura.
Art. 17. Affermiamo l’unità, l’armonia e la coerenza della Scrittura e crediamo che essa sia la migliore interprete di se stessa. Respingiamo l’idea secondo la quale la Scrittura può essere interpretata in modo da suggerire che un passaggio ne corregge o ne contraddice un altro. Respingiamo l’idea secondo la quale gli autori sacri che hanno fatto riferimento agli altri autori sacri precedenti o li hanno citati, li abbiano mal interpretati.

Art. 18. Affermiamo che l’interpretazione che la Bibbia dà di se stessa è sempre conforme al senso unico del testo ispirato, che essa non si allontana da questo senso ma piuttosto lo precisa. L’unico senso delle parole profetiche include la comprensione che lo stesso profeta ne ha, ma non è limitato ad esso. Coinvolge necessariamente l’intenzione di Dio messa in evidenza dal loro compimento. Respingiamo l’idea secondo la quale gli autori della Scrittura comprendevano sempre le implicazioni delle loro proprie parole.

Art. 19. Affermiamo che i presupposti dell’interprete della Scrittura devono essere in armonia con l’insegnamento biblico. Respingiamo l’idea secondo la quale la Scrittura dovrebbe essere adattata ai presupposti che le sono estranei o che sono incompatibili con essa quali il naturalismo, l’evoluzionismo, lo scientismo, l’umanesimo e il relativismo.
Art. 20. Affermiamo che poiché Dio è l’autore di ogni verità, tutte le verità, siano esse bibliche o non, sono coerenti e in armonia le une con le altre e che la Bibbia dice la verità quando si riferisce a temi relativi alla natura, alla storia o ogni altra cosa. Affermiamo anche che in certi casi gli elementi extra-biblici sono utili per chiarire ciò che la Bibbia insegna e per suggerire Ia correzione di interpretazioni erronee. Respingiamo l’idea secondo cui dei punti di vista non biblici possano rigettare la Bibbia o avere la precedenza nei suoi confronti.

Art. 21. Affermiamo l’armonia della rivelazione particolare e della rivelazione generale e, conseguentemente, quella dell’insegnamento biblico con i fatti naturali. Respingiamo l’idea che alcuni dei veri fatti scientifici possano essere in disaccordo con il senso autentico di un qualunque testo della Scrittura.

Art. 22. Affermiamo che Genesi 1-11 racconta dei fatti come pure tutto il resto dei libri. Respingiamo la teoria secondo la quale gli insegnamenti di Genesi 1-11 sono mitici. Respingiamo pure l’idea che le ipotesi scientifiche sulla storia della terra e l’origine dell’uomo possano essere invocate per capovolgere ciò che Ia Scrittura insegna sulla creazione.
Art. 23. Affermiamo la chiarezza della Scrittura, in particolare per ciò che concerne il suo messaggio di salvezza. Respingiamo l’idea secondo la quale tutti i passaggi della Scrittura posseggano la medesima chiarezza o siano testimoni allo stesso grado della dottrina della redenzione.
Art. 24. Affermiamo che il credente può comprendere la Scrittura senza dipendere dalla scienza degli specialisti. Respingiamo tuttavia l’idea che bisogna ignorare lo studio tecnico della Bibbia effettuato dagli studiosi.

Art. 25. Affermiamo che il solo genere di predicazione capace di comunicare la rivelazione divina e le sue applicazioni è quello che espone fedelmente il testo biblico come la Parola di Dio. Respingiamo che si possa annunciare un messaggio da parte di Dio che sia in disaccordo con il testo della Scrittura.

18 Regole per interpretare la Bibbia
1. . Considera l’autore – chi ha scritto quel particolare libro? In quale contesto si pone? Qual’è la sua lingua, cultura, vocazione, interessi, istruzione, circostanze, fase della sua vita?
2. . Considera il suo uditorio originale – perché è stato scritto quel libro, a chi è rivolto, che cosa avrebbe potuto significare per I suoi destinatari originali?
3. .Il significato delle parole usate (determinarlo è oggi diventato più facile grazie agli strumenti di consultazione a nostra disposizione.
4. Impostazione storica (evitare l’anacronismo – cercando di capire il passato mentre lo si guarda indossando occhiali del XXI secolo – non aiuterà a comprendere il significato originale dell’autore).
5. Grammatica – (come le cose vengono espresse – imperativo è un comando, un congiuntivo sarebbe “vuoi fare questo?” – due significati molto diversi ce riguardano il risultato).
6. Questioni testuali – (ci sono domande sui primi o più autorevoli manoscritti rispetto ad altri di una data successiva – e come questo influenza la nostra comprensione di ciò che è stato originariamente scritto).
7. Sintassi – questo si riferisce alle parole e al loro rapporto tra loro. Per esempio, Romani 5:1 dice: “Essendo stati giustificati (un’azione tesa passata) dalla fede, abbiamo pace con Dio”. Non sarebbe corretto pensare che dobbiamo ottenere la pace con Dio prima che avvenga la giustificazione. La sintassi è chiara che è il risultato di una prima giustificata che ne consegue la pace. La sintassi corretta è una componente vitale dell’interpretazione del suono.
8. Forma letteraria (dobbiamo interpretare la Bibbia letteralmente, ma questo non significa che non riconosciamo che le parabole sono parabole, e che per interpretarle correttamente, le interpretiamo come parabole letterali! La narrazione storica è narrazione storica, i sostantivi sono sostantivi, i verbi sono verbi, le analogie sono analogie).
9. Contesto immediato (un testo fuori contesto diventa un pretesto. Si può fare dire qualcosa che non intende dall’autore). Controlla sempre il contesto immediato di un versetto o di un passo per determinare la corretta interpretazione.
10. Contesto del documento (in Romani, c’è un certo argomento che Paolo sta perseguendo, e questo ci aiuta a determinare cosa si intende in versetti isolati quando conosciamo lo scopo di ciò che viene scritto. Tenete sempre a mente lo scopo generale dell’autore quando guardate in dettaglio il significato dei testi). Questa, come le altre, è una regola molto utile.
11. Contesto dell’Autore (questo si riferisce a guardare tutti gli scritti di una persona – scritti di Giovanni, scritti di Paolo, scritti di Luca, ecc.).
12. Contesto biblico (il contesto più ampio possibile, l’intera Bibbia; permettendoci di chiedere se la nostra interpretazione è coerente con tutta la Scrittura. La Scrittura non è mai contraddittoria con se stessa.
13. Comprendere la differenza tra dichiarazioni prescrittive e descrittive nella Bibbia. Il versetto ci dice di fare qualcosa, o descrive un’azione che qualcuno fa? Matteo 24:13 “Ma colui che resiste fino alla fine, sarà salvato”. Domanda: Questo versetto è prescrittivo o descrittivo? Se prescrittivo, (se ci dice qualcosa da fare) allora nessuno può essere sicuro della loro salvezza, per la semplice ragione che nessuno attualmente legge o sente la dichiarazione ha, ancora, sopportato fino alla fine. Se prescrittivo, negherebbe la meravigliosa certezza della salvezza che lo Spirito Santo vuole che noi sappiamo (1 Giovanni 5:13). Certamente, questa è una dichiarazione descrittiva – come descrive le azioni di una persona veramente salvata – una tale essa durerà, perché la natura del tipo di fede che Dio dà al Suo popolo è quella che dura fino alla fine. Una persona salvata è colui che dura fino alla fine – un principio chiarito in altri passaggi come 1 Giovanni 2:19 – “Sono usciti da noi, ma non erano realmente di noi; perché se fossero stati di noi, sarebbero rimasti con noi; ma sono usciti, in modo che sarebbe stato dimostrato che non sono tutti di noi.
14. Costruisci tutta la dottrina sulle possibili e più che sulle possibili deduzioni. Un’inferenza necessaria è qualcosa che è sicuramente insegnato dal testo. La conclusione è inevitabile. È necessario. Una possibile deduzione è qualcosa che potrebbe o potrebbe essere vero, ma non qualcosa effettivamente dichiarato dal testo. Questo è spesso molto più difficile di quanto possa apparire prima perché significa che dobbiamo fare un passo indietro e analizzare esattamente perché pensiamo che un versetto insegni qualcosa. In altre parole, significa testare le nostre tradizioni e fare un sacco di pensiero. Ma questo è qualcosa che dovremmo fare costantemente. Paolo esortò Timoteo a “pensare a quello che dico, perché il Signore vi darà comprensione in tutto”. (2 Timoteo. 2:7). Tutti noi dovremmo essere pronti a sostenere le nostre nozioni preconcette alla luce della Scrittura per vedere se queste ipotesi sono valide o meno. Il risultato di questo processo spesso comporta l’uccisione di alcune vacche sacre, ma questa è una buona cosa, se ciò che abbiamo ritenuto vero non può essere effettivamente sostenuto dal testo biblico. Tutti abbiamo i nostri punti ciechi e le nostre tradizioni, ma non ne siamo sempre consapevoli. Pertanto, il serio studente della Bibbia pone costantemente domande a se stesso e al testo per determinare ciò che il testo sacro dice in realtà e poi costruisce il suo pensiero su questo. Ecco un testo come esempio: Giovanni 20:19 dice: “Ora, la sera di quello stesso giorno, il primo della settimana, mentre le porte del luogo dove erano radunati i discepoli erano serrate per paura dei Giudei, Gesù venne e si presentò là in mezzo, e disse loro: «Pace a voi!»”. Molte persone leggono questo testo e concludono che Gesù attraversò la porta chiusa a chiave per presentarsi ai Suoi discepoli. Ma il testo lo dice davvero? No, non è vero. Il testo potrebbe insegnarlo. Si tratta certamente di una possibile deduzione ricavata dal testo, ma non è affatto necessaria. Ci sono altre possibili spiegazioni. Per quanto riguarda questo versetto, la Bibbia di Studio ESV dice: “Alcuni interpreti comprendono le porte che sono chiuse per implicare che Gesù è miracolosamente passato attraverso la porta o le pareti della stanza, anche se il testo non lo dice esplicitamente. Dal momento che Gesù aveva chiaramente un vero corpo fisico con carne e ossa dopo che si alzò dai morti… una possibilità è che la porta sia stata miracolosamente aperta in modo che il corpo fisico di Gesù potesse entrare, il che è coerente con il passaggio di Pietro che passava attraverso una porta chiusa a chiave qualche tempo dopo (vedi Atti 12:10). Per riaffermare il principio: dobbiamo costruire tutta la dottrina sulle possibili piuttosto che sulle possibili deduzioni. Tutto il resto è speculazione.
15. Interpretare i passi poco chiari nelle Scritture alla luce del chiaro. Anche se tutta la Scrittura è Dio respirato, ogni passaggio non è altrettanto chiaro (facile da capire). Anche l’apostolo Pietro ha lottato con gli scritti di Paolo, a volte, quando ha trovato alcuni di esso “e questo egli fa in tutte le sue epistole, in cui parla di queste cose. In esse vi sono alcune cose difficili da comprendere, che gli uomini ignoranti ed instabili torcono, come fanno con le altre Scritture, a loro propria perdizione”. (2 Pietro 3:16). Quando determini ciò che la Bibbia insegna su un particolare argomento, trova i passi che affrontano la questione a portata di mano e rendi questo il punto di partenza della tua dottrina, piuttosto che un passaggio oscuro (o meno chiaro). Una volta che ciò che è chiaro è saldamente afferrato e compreso, quindi procedere a studiare i passaggi che in un primo momento sembrano essere poco chiari, utilizzando le regole di cui sopra.
16. Costruisci la dottrina sulle dichiarazioni didattiche (di insegnamento) nelle Scritture piuttosto che sulle possibili deduzioni dai passi narrativi.
17. Pensa a te stesso, ma non da solo. Non siamo affatto saggi quando ci isoliamo. Dio ha donato agli altri intuizioni straordinarie, non solo ai nostri giorni, ma nel corso della storia della Chiesa. Questi insegnanti sono i doni di Cristo al Suo popolo (Effisi 4:8-12). Usa il loro aiuto. Qui ci sono quattro citazioni utili a questo proposito: “Il modo migliore per proteggere una vera interpretazione della Scrittura, insistevano i Riformatori, non era né abbracciare ingenuamente l’infallibilità della tradizione, né l’infallibilità dell’individuo, ma riconoscere l’interpretazione comune della Scrittura. Il modo migliore per garantire la fedeltà al testo è leggerlo insieme, non solo con le chiese del nostro tempo e del nostro luogo, ma con la più ampia ‘comunità dei santi’ fino all’età.” – Michael Horton, “Che cosa ci tiene ancora separati?”. “Sembra strano, che certi uomini che parlano così tanto di ciò che lo Spirito Santo rivela a se stessi, dovrebbero pensare così poco a ciò che ha rivelato agli altri.” – C. H. Spurgeon. “La tradizione è il frutto dell’attività didattica dello Spirito fin dai secoli, mentre il popolo di Dio ha cercato di comprendere la Scrittura. Non è infallibile, ma non è neppure trascurabile, e ci impoveriamo se lo ignoriamo.” – J.I. Packer, “Sostenere l’unità delle Scritture oggi”. “Anche se la tradizione non governa la nostra interpretazione, la guida. Se dopo aver letto un particolare passo avete ideato un’interpretazione che è sfuggita all’attenzione di ogni altro cristiano per duemila anni, o è stato sostenuto da eretici universalmente riconosciuti, le probabilità sono abbastanza buone che è meglio abbandonare la vostra interpretazione.” – R. C. Sproul
18. Evitare interpretazioni iper-allegoriche. Aurelio Augustino di Ippona (354 d.C. al 430 d.C.), conosciuto più comunemente come semplicemente Agostino, insegnò un metodo di interpretazione iper allegorico, che era molto altamente speculativo. Il commento di Agostino sul Buon Samaritano – Luca 10:29–37 “Un certo uomo scese da Gerusalemme a Gerico; Adamo stesso è inteso; Gerusalemme è la città celeste della pace, dalla cui benedabilità Adamo cadde; Gerico significa la luna, e significa la nostra mortalità, perché nasce, cede, diminuisce, un muore. I ladri sono il diavolo e i suoi angeli. Chi lo ha spogliato, vale a dire; della sua immortalità; e lo picchiano, persuadendolo a peccato; e lo ha lasciato mezzo morto, perché nella misura in cui l’uomo può comprendere e conoscere Dio, vive, ma nella misura in cui è sprecato e oppresso dal peccato, è morto; è quindi chiamato mezzo morto. Il sacerdote e il levita che lo videro e passarono, significarono il sacerdozio e il ministero dell’Antico Testamento che non potevano giovarti nulla per la salvezza. Samaritano significa Guardiano, e quindi il Signore stesso è significato con questo nome. Il legame delle ferite è la moderazione del peccato. L’olio è il conforto della buona speranza; vino l’esortazione a lavorare con spirito fervente. La bestia è la carne in cui Egli si è degnato di venire da noi. L’essere impostato sulla bestia è la fede nell’incarnazione di Cristo. La locanda è la Chiesa, dove i viaggiatori che tornano nel loro paese celeste vengono rinfrescati dopo il pellegrinaggio. Il domani è dopo la risurrezione del Signore. I due pence sono o i due precetti dell’amore, o la promessa di questa vita e di ciò che verrà. Il locandiere è l’apostolo (Paolo). Il pagamento del supererogatorio è o il suo consiglio di celibato, o il fatto che abbia lavorato con le proprie mani per non essere un peso per uno qualsiasi dei fratelli più deboli quando il Vangelo era nuovo, anche se era lecito per lui ‘vivere con il Vangelo'” – Quaestiones Evangeliorum, II, 19 –leggermente abbreviato come citato in C. H. Dodd, The Parables of the New Kingdom (La attività del Regno. : Scribners, 1961), pg. 1-2.
Chi può dire quale interpretazione è vera?

BIBLIOGRAFIA
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