Lutero e Zwingli: dibattito sulla cena.

LUTERO E ZWINGLI: IL DIBATTITO SULLA CENA PARADIGMA DELLA RIFORMA
Tra Lutero e Zwingli nacque una controversia a proposito dell’interpretazione dell’istituzione della Cena del Signore. Opposte erano le posizioni e le interpretazioni date e lo scontro fu duro, provocando una lacerazione profonda da cui nacquero due chiese, o meglio due famiglie di chiese. Si tentò una riconciliazione ma oramai gli animi erano accesi.
I colloqui di Marburgo (1-4 ottobre 1529) si conclusero con l’approvazione di un documento comune sottoscritto da tutti, articolato in 15 punti. Su 14 articoli sugli elementi essenziali della fede cristiana e della comune fede evangelica (rifiuto dell’idea di merito, fede come giustizia davanti a Dio mediante la predicazione dell’Evangelo, battesimo, buone opere come azione dello Spirito Santo, confessione libera) anche in polemica con gli anabattisti (sulla partecipazione del cristiano alla gestione della società e sul mantenimento del pedobattismo), tutti sono d’accordo. il 15° articolo riguarda la Cena e anche qui vi sono dei punti di accordo:
1- la Cena va celebrata sub utraque, col pane e col vino ai laici:
2- essa è il sacramento del vero corpo e sangue di Gesù Cristo;
3- ogni cristiano ha bisogno di questo nutrimento spirituale per consolidare e confermare la coscienza nella fede.
Il punto controverso era: “E quantunque in questa occasione non ci siamo potuti accordare sulla questione se il vero corpo e sangue di Cristo siano corporalmente nel pane e nel vino, nondimeno ciascuna parte mostrerà amore cristiano per l’altra, per quanto lo consentirà (lett.: lo potrà sopportare) la coscienza di ciascuno, e le due parti pregheranno assiduamente Dio onnipotente perché voglia confermarci mediante il suo Spirito nella retta comprensione. Amen”[1]. Ecco indicata la ragione della controversia e poi della rottura: se Cristo sia corporalmente presente nel pane e nel vino. Lutero lo affermava, Zwingli lo negava. Ciò fu sentito e giudicato motivo sufficiente per dividersi, malgrado l’ampia base d’accordo non solo su tutto il resto ma anche su punti fondamentali della stessa dottrina eucaristica (rifiuto della messa come sacrificio, i cui effetti salutari valgono per i vivi ed i defunti; rifiuto della dottrina della transustanziazione). Come spiegare questa rottura?
La rottura è avvenuta perché, secondo Lutero, la dottrina eucaristica di Zwingli equivaleva ad una profanazione della Cena, che non è più un’opera di Dio ma essenzialmente un’opera umana, sia pure di una umanità credente. Zwingli, secondo Lutero, capovolge e perciò stravolge i rapporti presenti nell’Evangelo; non è più la Cena che fortifica e nutre la fede, è la fede che allestisce la Cena. Non è la Cena che “produce” la fede, è la fede che “produce” la Cena. Questa inversione di rapporti e di ruoli promossa da Zwingli e dai suoi amici (specialmente Ecolampadio a Basilea e Bucero a Strasburgo) determina, agli occhi di Lutero, una radicale svalutazione della Cena. Il conflitto fu un conflitto di interpretazioni ma Lutero non lo visse così. Se l’avesse vissuto come un conflitto di interpretazioni, anche in contrasto fra loro, forse non si sarebbe giunti alla rottura. Ma per Lutero non si trattava di modi diversi di intendere la Cena; si trattava di affermarla da un lato e di negarla dall’altro. Per lui la posizione di Zwingli non era un’interpretazione della Cena, ma la sua negazione. Ecco perché sin o alla fine ha rifiutato agli zwingliani una dichiarazione di fraternità: non per una specie di intolleranza verso un pluralismo dottrinale ma perché si trattava di scegliere tra una affermazione e una negazione della Cena. In realtà l’interpretazione zwingliana della Cena dovette sembrargli un atto di dissipazione del patrimonio cristiano soprattutto per i possibili sviluppi: l’erosione interna del deposito della fede. Lutero ha impressione che in Zwingli il sacramento si volatilizzi e che con esso si volatilizzi la presenza stessa di Cristo, la realtà stessa di Cristo. secondo lui, Zwingli si sforza di rendere presente con il ricordo colui che è già e più che mai presente. Per questo Lutero è si irrigidisce e non ricambia l’offerta di fraternità fattagli dagli zwingliani. Tutta la sua argomentazione si condensa introno ad un’unica parola: est “è”. Zwingli interpretando l’est come significat, rendevano aleatoria la presenza di Cristo ed evanescente la sua realtà. L’Evangelo non è che Dio esiste, ma che esiste per noi (pro nobis), con noi, l’Evangelo è Dio con noi, l’Emmanuele, la Presenza reale (una presenza non reale è una illusione) di Dio in mezzo a noi. Zwingli, dunque, non interpretava correttamente l’Evangelo.
Bisogna riconoscere, però, a Zwingli l’aver introdotto le maggiori novità nella questione della Cena. Lutero, in fin dei conti, resta più dalla parte della tradizione che da quella della innovazione portata dalla Riforma. Qui il vero riformatore è Zwingli; Lutero ha riformato poco anche se su punti decisivi (soprattutto l’idea di sacrificio e la dottrina della transustanziazione). Lutero lo sapeva e lo riconosce: “Piuttosto che avere solo del vino con i fanatici, preferisco considerarlo sangue con i papisti”[2].
Gli aspetti salienti del conflitto Lutero-Zwingli emergono nel corso di una serrata disputa esegetica, la prima grande disputa esegetica in campo evangelico. La controversia ha spaziato in tutta la Scrittura ma si è concentrata intorno a due brani: l’Ultima Cena in cui Gesù pronunciò le parole “Questo è il mio corpo” (Mt 26,26; Mc 14,22; Lc 22,19 τούτό εστιν τό σώμά μου), e il brano giovanneo in cui Gesù afferma “E’ lo Spirito quel che vivifica, la carne non giova a nulla” (Gv 6,63 τό πνεύμά εστιν τό ζωποιουν, ή σάρξ ούκ ωφελεί ουδέν).
A proposito del primo brano, Zwingli lo intende in senso figurato. Egli si rifà ad un trattato sulla Cena scritto ds un olandese di nome Honius. Prima di lui già Wyclif, nel De eucharistia, aveva inteso così le parole dell’istituzione: non a caso i primi tre dei 45 errori di Wyclif condannati dal Concilio di Costanza riguardano la Cena e contraddicono la dottrina della transustanziazione. Zwingli rivendicherà altri precursori nella Chiesa antica fino ad Agostino. Riproducendo gli argomenti di Honius, Zwingli osserva che nella Bibbia abbondano i discorsi figurati: le sette vacche grasse sono i sette anni di abbondanza; il seme sparso dal seminatore è la Parola di Dio; Gesù dice “Io sono la vera vite” ecc… La Bibbia conosce il linguaggio figurato ed è questo tipo di discorso che Gesù adopera quando dice “Questo è il mio corpo”. In realtà egli vuol dire “Questo -il pane – significa il mio corpo”, il corpo di Cristo dato dal Padre e offerto da Cristo stesso sulla croce, affinché il mondo viva.
Lutero replica in modo semplice ed efficace: è vero che nella Bibbia è frequente il parlare figurato. Ma questo non significa che Gesù qui lo abbia adoperato. Non basta dire che l’est di Gesù può essere inteso come significat; si deve dimostrare che deve essere inteso così. Anche per Lutero la tentazione simbolica è forte, anche perché sarebbe un argomento molto convincente contro la dottrina della transustanziazione, ma egli non l’adotta perché il testo non lo consentirebbe. Secondo Lutero, Zwingli adotta l’interpretazione simbolica essenzialmente per tre motivi:
1- perché considera l’interpretazione letterale come razionalmente assurda;
2- perché la considera non necessaria (sia l’interpretazione che il fatto della presenza corporale di Cristo nella Cena);
3- perché la considera sconveniente, contraria all’onore di Dio.
Lutero confuta queste tre ragioni:
a) Absurditas. Che Cristo sia presente corporalmente nel pane e nel vino è assurdo per la ragione umana. Ma il mondo è pieno di miracoli. L’anima, ad esempio, che è in tutto il corpo, pensa, parla, sente, vede, ma la puoi localizzare da nessuna parte. La voce umana, un leggero soffio subito svanito, che però riempie gli spazi, entra in cento, mille orecchi, regge i cuori di molti. Il mondo è pieno di miracoli. È assurdo che Cristo sia realmente presente nella Cena? Allora è assurdo che sia presente anche nel cuore dei credenti. Questa presenza non è da spiegare tramite le leggi della fisica sui corpi e sullo spazio. Dirà Lutero “Dio non è un essere così esteso, lungo, largo, spesso, alto, profondo, ma un essere soprannaturale e insondabile che è, allo stesso tempo, totalmente in ogni piccolo granello frumento, eppure è anche dentro, al di sopra e fuori di tutte le creature; perciò non si tratta in alcun modo di circoscriverlo come sogna Zwingli… Nulla è così piccolo che Dio non sia ancora più piccolo; nulla è così grande che Dio non sia ancora più grande; nulla è così corto che Dio non sia ancora più corto; nulla è così lungo che Dio non sia ancora più lungo… E’ un essere ineffabile al di sopra e al di fuori di tutto ciò che si può nominare o pensare”[3].
b) Nulla necessitas. Il secondo motivo che induce Zwingli a rifiutare l’interpretazione letterale è che la presenza corporea di Cristo non sarebbe necessaria. Perché, anche se Cristo fosse realmente (nel senso di corporalmente) presente nella Cena, pure – secondo Lutero stesso – il rapporto con lui resta un rapporto di fede, dunque spirituale. Ma, appunto: la materialità del segno non è necessaria alla realtà del rapporto spirituale. Ma chi sei tu – obietta Lutero – per insegnare a Dio ciò che è necessario e ciò che non lo è?Non sa forse Dio ciò che è necessario e ciò che non lo è? Per la ragione umana perfino l’incarnazione potrebbe non essere necessaria perché Dio avrebbe potuto salvarci in altro modo. Lasciamo dunque a Dio stabilire quel che è necessario.
c) Sconvenienza. Secondo Zwingli è contraio all’onore di Dio che Egli si faccia “cibo” (sia pure da “consumare” spiritualmente). Lutero risponde affermando che il vero grande onore di Dio è l’incarnazione. La sua gloria è l’abbassamento. La sua divinità si manifesta nel suo divenire uomo. Il fatto che Dio si renda presente nella Cena secondo le parole “Questo è il mio corpo”, non solo non offusca l’onore di Dio, ma al contrario lo illustra. La presenza nella Cena è perfettamente in linea con l’incarnazione, quindi con il cuore stesso della rivelazione cristiana. Il cuore dell’Evangelo è l’incarnazione, Cristo che si fa la Parola che si fa carne. La presenza di Cristo nella Cena è un riflesso vivo del Cristo fatto carne. E qui si comprende perché Lutero consideri la posizione di Zwingli come un salto indietro, nell’Antico Testamento che è figura delle cose future. Il Nuovo Testamento è il regno delle realtà, non delle figure. Cristo è venuto di persona, perciò anche nella Cena dev’esserci lui in persona, non una qualche sua figura.
Al di là di queste argomentazioni, per Lutero vi è il peso decisivo del testo. Le parole “Questo è il mio corpo” sono di una disarmante semplicità, sono più convincenti di una qualsiasi interpretazione. Lutero non vede la necessità di spiegare ogni singolo brano razionalmente “Il servo non indaga sulla volontà del Signore. bisogna chiudere gli occhi” dirà. Ecolampadio lo rimprovererà dicendogli “Dove sta scritto, o mio dottore, che bisogna passeggiare nella Scrittura ad occhi chiusi? [4]”. Per Lutero, però, la Scrittura non è sempre da spiegare, talvolta si deve accettare così com’è, non in ragionamento ma in ubbidienza.
In conclusione, Lutero intende letteralmente le parole “Questo è il mio corpo” (τούτό εστιν τό σώμά μου), sia perché solo prendendole alla lettera le parole dell’istituzione vengono prese sul serio, sia perché tutti gli argomenti contro un’interpretazione letterale e per un’interpretazione figurata sfociano nella tesi che l’interpretazione figurata è possibile ma non dimostrano che è l’unica possibile.
L’altro passo biblico su cui Lutero e Zwingli divergono è la parola del Cristo giovvaneo “E’ lo Spirito quel che vivifica, la carne non giova a nulla” (Gv 6,63 τό πνεύμά εστιν τό ζωποιουν, ή σάρξ ούκ ωφελεί ουδέν). Zwingli ne ha fatto il suo cavallo di battaglia per negare che nella Cena si riceva corporalmente il corpo e il sangue di Cristo. se infatti questi fossero i doni presenti nella Cena, Gesù non direbbe: “la carne non giova a nulla”. Zwingli commenta: “Se il Cristo dice che la carne non giova a nulla, l’arroganza umana non deve discutere mai più sul ‘mangiare’ la sua carne. Se tu mi obietti che ci dev’essere un altro significato, dato che la carne di Cristo serve invece a qualcosa, poiché mediante essa siamo riscattati dalla morte, ti risponderò: la carne di Cristo è in effetti molto utile in ogni modo, anzi straordinariamente utile, ma – come ho detto – la carne uccisa (caesa), non la carne mangiata (ambesa). Quella ci salva dalla morte, ma questa non giova a nulla”[5]. Questo è un punto molto importante: è la carne crocifissa di Cristo, non la sua “carne sacramentale” che giova. In altre parole: è la storia di Gesù che aiuta, una storia che lo Spirito attualizza per noi e in noi. Il sacramento non ha valore in sé, ma solo in quanto rimanda alla storia di Gesù, che non è attualizzata dal sacramento ma dallo Spirito/memoria.
Zwingli riferisce tutto il discorso del cap. 6 di Giovanni all’eucaristia, ma se ne serve per interpretare e spiegare il mangiare ed il bere della Cena in senso spirituale. Ma giare la carne di Cristo, bere il suo sangue non significa mangiare sacramentalmente il corpo di Cristo, ma significa credere in lui. il “pane” e “mangiare” significano “Evangelo” e “credere”. A questa esegesi di Gv 6, Lutero risponde molto semplicemente (sbagliando) sostenendo che questo capitolo non si riferisce all’eucaristia. Esso quindi non fonda – come vorrebbe Zwingli – un’interpretazione figurata della Cena, perché non parla affatto della Cena. Questo punto di vista Lutero l’aveva sostenuto già nel 1520 nello scritto sulla Cattività babilonese della Chiesa, contro i teologi cattolici che fondavano su questo capitolo la dottrina secondo cui bastava comunicare con una sola specie (il pane) per comunicare con tutto il Cristo (che sarebbe presente tutto in ciascuna specie), ma anche contro i teologi hussiti che, su questo capitolo, fondavano la loro rivendicazione della celebrazione sotto le due specie (utraquisti). Lutero boccia le due posizioni affermando che il cap. 6 di Giovanni “dev’essere lasciato da parte perché neppure con una sillaba accenna all’eucaristia… esso è estraneo al nostro argomento”[6].
Lutero osserva che la ragione non crede all’affermazione secondo cui il pane della Cena è allo stesso tempo “due cose diverse”: pane e corpo. Per cui “non è possibile che il pane sia corpo. Se è pane, è pane. Se è corpo, è corpo: una delle due, scegli quella che vuoi. Ora qui i sofisti hanno conservato il corpo e lasciato andare il pane (per cui con la transustanziazione non c’è più il pane, c’è solo il corpo)… Inversamente, Wyclif combatte questa posizione e mantiene il pane ma lascia andare il corpo (per cui non c’è più corpo ma solo il pane)”[7]. Per Lutero, invece, c’è l’una cosa e l’altra: “non è necessario che uno dei due scompaia o si annulli, ma entrambi il pane e il corpo sussistono e, a causa dell’unità sacramentale, si dice con ragione: ‘Questo è il mio corpo’, indicando il pane con la parola ‘questo’. Non si tratta più ora infatti semplicemente del pane del forno, ma del pane-carne o del pane-corpo, cioè un pane che è divenuto un solo essere e una sola cosa sacramentale con il corpo di Cristo. Lo stesso accade al vino del calice…”[8]. Pane e corpo, anzi pane-corpo, dunque, ma in realtà il cuore di Lutero batte tutto sul versante del “corpo”; in fin dei conti, che il pane resti pane è secondario (anche se Lutero lo mantiene con Wyclif): l’essenziale è che il pane sia corpo.
Concludendo, la questione non può essere risolta semplicemente sul piano esegetico. In sostanza l’argomento di Zwingli è questo: dopo l’ascensione il corpo di Cristo secondo l’umanità è seduto alla destra di Dio, come è affermato nel Credo. Se è “alla destra di Dio” non può essere contemporaneamente nel pane della Cena. Certo, il corpo divino di Cristo può essere contemporaneamente in molti luoghi, anzi in ogni luogo. Ma il suo corpo umano non può che essere – in quanto umano – circoscritto, delimitato e quindi presente in un solo luogo alla volta. La natura umana di Cristo, benché risorta, “lega” il corpo di Cristo alla destra di Dio. Secondo la sua divinità Cristo è presente sia in terra che in cielo. Ma secondo la sua umanità è presente solo in cielo. Non bisogna cercarlo, dunque, nel pane della Cena perché nella sua umanità non c’è.
Contro questa posizione Lutero sarà duro e intransigente:
1- Queste “geometrie” teologiche sono frivole e inconsistenti. La “destra di Dio” non è un luogo: è la creatività di Dio, dovunque essa appaia, nella natura, nella predicazione, nella Cena. Dire che Cristo è seduto alla destra di Dio non significa localizzarlo in qualche luogo celeste, ma significa situarlo in posizione eminente e strategica nell’azione creatrice di Dio.
2- Per quanto concerne le nature di Cristo, Lutero le ritiene non incomunicabili: le proprietà dell’una trapassano nell’altra, così l’ubiquità – propria della sola natura divina – viene trasmessa anche alla natura umana (che di per sé non le appartiene), per cui Cristo può essere presente corporalmente anche nel pane.
Le novità che Zwingli ha apportato al problema sono:
1- Zwingli sottopone la nozione di “sacramento” ad una critica storica, filologica e teologica che non ha paragoni nella sua generazione. Il punctum saliens di questa critica è che il sacramento non è più concepito come mezzo di grazia. Così facendo Zwingli si è messo contro secoli di teologia, di prassi ecclesiastica e di vita devozionale. Ricordiamo che la teologia cattolica riteneva e ritiene tutt’ora che il sacramento è “un segno sensibile ed efficace della grazia”. Per questo riformatore, invece, il sacramento è in sostanza un’opera dell’uomo che certifica la grazia e la fede. Non dunque un mezzo per ricevere la grazia da ricevere, ma un certificato (destinato soprattutto alla chiesa e al mondo) della grazia ricevuta.
2- Critica della consustanziazione. Zwingli ritiene che è illusorio affermare – come fa Lutero – che si mangia o si riceve il corpo di Cristo, però si mangia pane. O est significa “è”, e allora hanno ragione i papisti con la loro transustanziazione (il pane si trasforma in corpo), ovvero est non significa “è”, e allora non si mangia materialmente il corpo di Cristo. Insomma, tertium non datur: una terza via è illusoria. In questa illusione sarebbe caduto Lutero[9].
3- Il ruolo dello Spirito come memoria di Cristo nel senso giovvanico. “Fate questo in memoria di me” significa fate questo nella potenza dello Spirito Santo, che è Colui che mantiene vivo il ricordo di Cristo, in modo che Cristo stesso divenga presente. Non si tratta di collegarsi con un passato remoto e neppure di attualizzarlo. Si tratta di vivere la presenza di un passato che in Dio è eterno, dunque una presenza di eternità. Anche la Parola, Zwingli la slega dai “segni” e la lega allo Spirito.
Concludendo l’analisi della disputa Lutero-Zwingli si può stabilire che la disputa è stata condotta con passione e rigore. Entrambi non hanno strumentalizzato il contrasto subordinandola ad interessi politici né polemici. Lutero fu accusato di essere un neo-papista ma non ha ceduto di un solo passo. Si è trattata di una battaglia introno alla verità dell’Evangelo. Lutero ha invocato la semplicità ma era troppo tardi. Il testo biblico non è più vergine: il testo vive anche per la comprensione che ne danno gli uomini. Occorre spiegare ed in questo ha ragione Zwingli. Per Lutero la verità è nell’insistenza sull’est: Dio è realtà, non semplice significato. La realtà di Dio non dipende dalla mia spiegazione. Per Zwingli la verità sta nell’insistenza che “Il Signore è lo Spirito” (2Cor 3,17) e il realismo evangelico è un realismo nello Spirito e dello Spirito, il realismo di Pentecoste.
Ma quello che è importante mettere in risalto è che soggiacente alla battaglia esegetica, scorgiamo la ragione ultima del dramma che si svolge intorno alla questione della Cena. La Riforma, nata all’insegna dell’autorità della Bibbia come regola suprema di fede e di vita, fa la dolorosa scoperta, al suo interno stesso, che la Bibbia può anche dividere; può dividere anche coloro che concordemente la accettano come la loro regola suprema; può dividere anche coloro che sono uniti nel praticare il “sola Scriptura” la norma scritturale. Si può essere uniti nel “sola Scriptura” e divisi nell’interpretazione della Scrittura. Questo è il dramma spirituale che sta dietro la controversia eucaristica e la spaccatura del fronte della Riforma: un dramma che non ha perso nulla della sua attualità. Anche oggi la Bibbia divide. Essa è veramente la spada a due tagli (Eb 4,12): divide le chiese, divide gli animi. Questo è il grande paradosso emerso nell’ambito della Riforma, per la prima volta nel corso del conflitto Lutero-Zwingli, e poi ripetutosi tante volte e quanto mai attuale anche oggi: la parola biblica che ci deve unire, ci ha diviso; la stessa parola che ci ha diviso, ci deve unire. La Bibbia che non ci permette di essere uniti, non ci permette neppure di restare divisi.
L’amarezza di questa vicenda non consiste nel fatto che qui la Riforma si divide, né che la Cena, luogo di comun ione per eccellenza diventa luogo di divisione. L’amarezza più grande deriva da letture antitetiche, diverse, della Bibbia. Dietro il divorzio sulla Cena c’è il divorzio sulla Bibbia. Sinceri cristiani stanno cercando di ovviare a tale divorzio impegnandosi per trovare le basi comuni: questo è lo sforzo ecumenico di questi ultimi anni.
La grande domanda che ha dominato la controversia – tertium non datur – resta aperta. Ogni generazione deve rinnovare la sua risposta. Lutero ha creduto di si, Zwingli ha creduto di no. possiamo concludere questa esposizione citando una sorta di appello rivolto da Zwingli alle generazioni future a farsi arbitri di una contesa che – egli lo vedeva bene – non poteva dirsi conclusa:
“Mi rivolgo dunque a te, o secolo venturo, perché tu, giudicando in modo disinteressato, voglia emettere una giusta sentenza. Noi non dubitiamo che un’eco di questa lotta giungerà fino a te e che non ti farai impressionare dalle passioni dell’uno o dell’altro… Ti, o secolo futuro, valuta con scrupoloso esame i risultati certi della questione e guardati dall’essere così cieco come siamo noi di quest’epoca in tale dibattito, noi che forse in tutto il resto abbiamo occhi per vedere. Noi ti abbiamo offerto la fiaccola. Addio”.
Tratto da P. RICCA, Lutero e Zwingli, la cena in Lutero nel suo e nel nostro tempo, Claudiana, 1983.

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[1] H. Bornkamm, Martin Luther in der Mitte seines Lebens, Gottingen 1979, p. 575. Sintesi del contenuto degli articoli di Marburgo.
[2] W.A. 26, 462, 4-5.
[3] W.A. 26, 339, 33 – 340, 2.
[4] G. May, Das Marburger Religionsgesprach 1529, Gutersloch 1970, p. 19
[5] Zwingli, Commentarius de vera et falsa religione, III, 782, pp. 26-32.
[6] M. Lutero, De captivitate Babylonica Ecclesiae, in Scritti politici, a cura di L. Firpo, UTET Torino 1949, pp. 235-236.
[7] W.A. 26, 439,15-22.
[8] W.A. 26, 445,7-13.
[9] Zwingli, Una chiara istruzione sulla Cena di Cristo, Zurigo 1526.