La salvezza per Israele

ISRAELE SI SALVERÀ
“La storia di Dio con Israele sfocia nella storia della Chiesa a tal punto che l’”antico popolo di Dio” verrebbe superato, reso antiquato dal “nuovo popolo di Dio” o accanto alla chiesa Israele conserva fino alla fine della storia un proprio e peculiare appello di salvezza?” J. Moltmann.
1. Introduzione.
La cosiddetta teologia storico-salvifica ha sostenuto la tesi che Israele possiede, insieme alla Chiesa, un appello salvifico: esso sarebbe una via di salvezza diversa dalla Chiesa, ma sempre una via di salvezza, appunto perché le promesse di Dio contenute nell’AT restano valide. Il fatto che la Chiesa attende il ritorno di Cristo, vivendo nel “già e non ancora”, testimonia che le promesse di Dio si sono adempiute nella vicenda storica di Gesù Cristo in modo parziale. L’attesa della parusia di Cristo è ciò che la Chiesa condivide con l’Israele che attende il Messia. Solo alla fine dei tempi le speranze della Chiesa e di Israele saranno realizzate appieno. La teologia federale del calvinismo, la teologia pietistica e la scuola di Erlangen sosterranno che prima che la storia giunga al termine, Israele si convertirà al Signore per un intervento diretto e speciale di Cristo. il teologo Paul Althaus scrive nel 1957:
“Israele ha la sua speciale collocazione nel piano salvifico di Dio: la Chiesa è edificata sul fondamento della storia di Dio con Israele. La Chiesa poggia su Israele, popolo eletto da Dio, ma Israele sfocia nella Chiesa… Nella Chiesa e per la Chiesa Israele non ha più alcuna posizione privilegiata né alcun particolare appello di salvezza”.
In pratica, dopo la venuta di Cristo, Israele è rientrato nella serie degli altri popoli a cui dev’essere rivolto l’annuncio evangelico. Per R. Bultmann Israele è parodia del fallimento di chi vive sotto la Legge: solo l’Evangelo libera, pertanto il vangelo della giustificazione del peccatore colloca Israele nel novero ei pagani.
In realtà il pensiero di Paolo non consente questa fusione di Israele con i pagani. Paolo ha ben presente, invece, la distinzione tra ebrei e pagani, attribuendo ai primi un primato nella storia della salvezza (Rm 9,4; 11,2). Di fatto, però, i pagani giunsero alla fede senza passare per il giudaismo. Se mentre Israele rifiuta il vangelo, i pagani giungono alla fede in Gesù Cristo, allora stà già verificandosi ciò che secondo le speranze del giudaismo dovrebbe accadere dopo la redenzione di Israele. Gli ultimi, ossia i pagani, nella Chiesa diventano i primi mentre i primi, cioè i giudei, per il loro rifiuto, diventano gli ultimi. La differenza tra giudei e pagani non è soppressa, cambia solo la successione.
Paolo è fermamente convinto che Israele si convertirà quando tutti i pagani verranno recuperati a Cristo (Rm 11,15). Paolo collega la restituzione di Israele con la resurrezione dei morti. Israele, dunque, resta una via di salvezza ma solo se sarà congiunto a Cristo, l’unico mediatore fra Dio e gli uomini. Solo così Israele giungerà al suo compimento e resterà fedele alle promesse, ai padri, all’alleanza.
“La conciliazione del mondo con Dio, per mezzo del Vangelo, è la via storica che conduce alla redenzione del mondo, e quindi, anche la via storica che porta alla redenzione di Israele (Rm 11,15)”. J. Moltmann.
2. La questione.
Per Paolo il rapporto Chjiesa-Israele era un problema centrale. In seguito, però, divenne ben presto un problema marginale. A questo contribuì la distruzione di Gerusalemme e la conseguente diaspora ebraica e la quasi estinzione delle comunità giudeo-cristiane. Il cristianesimo si ellenizzò spostando i suoi centri altrove, nell’impero romano. Anche la teologia contribuì a questo allontanamento relegando l’AT a propedeutica del NT, enfatizzando il ruolo dei giudei nella morte di Gesù. Sorvoliamo sull’antigiudaismo della chiesa medievale fino all’epoca contemporanea, dove il nazismo operò una sistematica eliminazione di massa. Vi è tantissima letteratura che illustra come il popolo ebraico abbia subito persecuzioni nel corso dei secoli.
Ciò che qui interessa è che la Chiesa ebbe sempre coscienza di aver preso il posto di Israele nel piano di Dio e questo contribuì all’idea che Israele non fosse più il popolo eletto. Il vero Israele è la Chiesa, per la quale valgono tutte le promesse dell’AT.
a) Nuovi orientamenti.
Una nuova apertura per l’AT e per il mondo ebraico venne dalla ricerca esegetica. La ricerca storico-critica ha condotto ad interpretare l’AT non più come allegoria e in funzione del NT ma a considerarlo nella sua unicità storica. Anche la figura di Cristo non appare più soltanto come la realizzazione si singole profezie veterotestamentarie, bensì come il compimento dell’AT e del piano di salvezza di Dio, legato ad Israele e alla Torah. Il nuovo approccio alla Scrittura portò a rivedere anche il rapporto Chiesa-Israele considerato non più come antagonismo ma come complementarietà. C’è da chiedersi se un atteggiamento antiebraico sia ravvisabile già nel NT. Pur essendo la Chiesa il popolo di Dio, essa non ha eliminato le promesse fatte ad Israele.
Si devono esaminare i capp. 9-11 della Lettera ai Romani, i quali costituiscono il locus classicus del rapporto Chiesa-Israele. La domanda è: Israele è scaduto dalla sua posizione privilegiata come popolo di Dio? No, risponde Paolo. La fedeltà di Dio non abbandona Israele (Rm 3,3). L’elezione di Israele è irrevocabile, permanente. Israele resta il popolo eletto, la Chiesa non annulla questa realtà (Rm 9,3). Israele resta “figlio” (Rm 9,4; cfr. Es 4,22). Israele possiede la gloria, il patto dell’alleanza, la legge, il culto, le promesse, i padri, il Messia (Rm 9,4-5). Tutto questo rimane agli ebrei anche se essi hanno rifiutato Gesù come Messia, cosa che intristisce Paolo che offrirebbe se stesso come sacrificio in favore di Israele. Paolo non rinnega il suo essere ebraico. Il Dio che ha agito nella vita di Gesù è lo stesso Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe. Il Dio della Chiesa è il Dio di Israele. E il messaggio di salvezza è stato annunciato prima di tutto a Israele. La Chiesa è inserita nel popolo eletto e il piano di Dio per Israele perdura nel NT. Gli inizi della fede e dell’elezione della Chiesa hanno le loro radici nell’AT.
Tuttavia non si può passare sotto silenzio che la maggior parte dei giudei ha rifiutato l’Evangelo. Essi hanno disatteso le promesse e le speranze dei profeti, hanno traviato la Legge e misconosciuto il vero culto spirituale gradito a Dio. Hanno violato l’alleanza e respinto il Messia atteso. Paolo parla di “indurimento” e “ostinazione”, “sordità”. Ma ciò non rende vana la parola di Dio (Rm 9,6) perché non tutti i discendenti di Israele sono Israele (Rm 9,6); occorre distinguere tra un Israele carnale e uno della promessa (Rm 9,8-13).
Qui domina la sovranità di Dio e la sua grazia (Rm 9,14-29). Dio sceglie in libertà, senza riguardi a presunti meriti. Da sottolineare che qui Paolo non si occupa dell’elezione di persone singole ma dell’elezione di un popolo, Israele. Dio è sovrano anche di fronte alle prerogative di Israele. Egli sceglie e rigetta liberamente, senza per questo abbandonare il suo disegno di salvezza. Le prerogative di Israele restano, ma ora vano comprese alla luce della croce di Cristo, come già i profeti avevano preannunciato.
Dio ha isolato in Israele un “resto” (Rm 9,29) per il quale valgono le promesse della salvezza. Ma Dio ha anche la libertà di scegliere un popolo tra chi era escluso dalle promesse (Rm 9,22-26). Paolo ha ben compreso che Israele, nel corso della sua storia, ha posto la sua confidenza più sulle proprie opere di giustizia, più sulla minuziosa osservanza della Legge, che nella misericordia di Dio e le sue promesse. Credeva che in tal modo avrebbe ottenuto una giustizia propria da offrire a Dio, diversamente da Abramo che confidava solo in Dio per mezzo della fede.
Ora la giustizia di Dio si manifesta nell’Evangelo e la fede si decide su Gesù crocifisso. Egli è la “pietra di inciampo” posta da Dio sulla quale inciampa chi confida nella propria giustizia (Rm 9,30-33). Così alla giustizia proveniente dalle opere, succede la giustizia derivante dalla fede. Cristo è la fine della Legge ((Rm 10,1-13). Israele, dunque, è inescusabile (Rm 10,14-21) perché non ha conosciuto il compimento della promessa.
Da quanto fin qui detto sembrerebbe emergere la definitiva reiezione di Israele, eppure Paolo respinge una simile idea (Rm 11,2). Dio si è riservato un “resto” da Israele, il popolo eletto non è stato rigettato, escluso dal piano di salvezza (Rm 11,2-10). Dio conferma la sua elezione ma non nel modo che Israele attendeva: nel “resto” credente, nell’ebraismo cristiano è la prova che la promessa di Dio non è divenuta caduca (Rm 11.11). l’incredulità attuale dei giudei non è che un passo falso permesso per la conversione dei pagani (Rm 9,22; 11,12.19.25.30) e anche per la loro stessa conversione (Rm 10,19). L’inciampo di Israele non è definitivo, ma ora non è più l’appartenenza etnica a dare la salvezza, ma solo la fede in Cristo. Ma anche il pagano non ha di che vantarsi, perché la sua appartenenza al popolo eletto è solo per fede: questo è il senso dell’allegoria dell’albero innestato (Rm 11,10-24); infatti anche i pagani possono essere recisi se infedeli (Rm 11,22). Inoltre, come ai pagani che ora credono è data la possibilità del rifiuto, così agli ebrei che oggi non credono è data la possibilità della fede (Rm 11,22-23). L’elezione è e rimane pura grazia, non titolo di diritto.
3. Conclusione.
Nel pensiero di Paolo, dunque, ebrei e pagani sono legati da uno stesso destino: il piano di salvezza di Dio per gli uni e per gli altri (Rm 11,15). Questo è il segreto escatologico di Paolo. L’ostinazione di Israele è prolungata fino a che sarà completato il numero dei pagani da salvare, e in tal modo si conseguirà anche la salvezza di tutto Israele (Rm 11,25-26).
L’AT annuncia la purificazione completa di Israele come una conseguenza della venuta del Messia. Paolo insegna che questa profezia, compiuta parzialmente con la conversione dei pagani, implica anche la conversione del popolo ebraico. Come i pagani furono disobbedienti, così lo sono anche i giudei, ma come Dio ha misericordia dei pagani, chiamandoli alla fede, così avrà misericordia degli ebrei. Entrambi i popoli, ebrei e pagani, sono colpevoli di fronte a Dio, solo la sua grazia può giustificare entrambi (Rm 11,26-32). La volontà salvifica di Dio è di salvare entrambi i popoli, per questo Paolo conclude il suo discorso con un inno (Rm 11.33-36).
Ma per poter realizzare la propria salvezza gli ebrei devono portare la loro fedeltà a Dio fino al suo compimento, ossia scegliere la fede all’unico e identico Dio che ha agito in Cristo per la salvezza di Israele e del mondo.
Israele, dunque, deve confluire nella Chiesa. Forse Calvino aveva intuito questa verità quando faceva iniziare la Chiesa già nell’antico Israele, evitando quella giustapposizione che invece si è avuta per secoli.

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