IL CRISTIANESIMO SECONDO CALVINO

IL CRISTIANESIMO SECONDO CALVINO

Calvino è generalmente quanto impropriamente considerato un freddo e spassionato sistematizzatore, una mente razionale più che una personalità, una figura schiva e socialmente isolata che si sentiva a casa propria più nel mondo delle idee che in quello della realtà. La concezione popolare del pensiero religioso di Calvino è un sistema rigorosamente logico, che ha il suo centro nella dottrina della predestinazione. Per quanto possa esercitare ancora una certa influenza, questa immagine popolare di Calvino ha però ben pochi riscontri nella realtà dei fatti; per quanto la dottrina della predestinazione potrà essere importante per il calvinismo successivo, questa centralità non trova riscontro nell’esposizione calviniana di quella dottrina. E tuttavia, questa credenza popolare suscita la domanda importante se si possa parlare del pensiero di Calvino come di un sistema.

La parola sistema presuppone una unità fondamentale ed una coerenza interna. Calvino mostra, invece, una decisa avversione, tipica degli umanisti, nei confronti dei teologi scolastici. Parlare di Calvino come di un teologo sistematico significa implicare un certo grado di affinità con la scolastica medievale, il che contraddice il suo modo di pensare. Per comprendere Calvino è necessario leggere Calvino. Il modo più opportuno di presentare uno schema della comprensione calviniana del cristianesimo è quello di individuare i temi fondamentali dell’edizione del 1559 dell’Istituzione della religione cristiana. Calvino stesso ha esplicitamente identificato nell’Istituzione l’unica esposizione autorevole della sua dottrina religiosa. Dovendo studiare un argomento particolare, il lettore ha la certezza di trovare in quest’opera tutto ciò che Calvino considerava essenziale per comprendere la sua posizione su quel punto.

La struttura del pensiero di Calvino.

Il lettore che, per un qualsiasi motivo, presuppone un principio unificatore nel pensiero di Calvino è naturalmente predisposto a trovarlo. Molti studi, partendo da questo presupposto, sono arrivati a identificarlo nella sua dottrina della predestinazione, o nella sua dottrina della conoscenza di Dio, o nella sua dottrina della chiesa. Un approccio più modesto comporta il riconoscimento che non esiste una dottrina centrale nel pensiero di Calvino. L’idea stessa di un “dogma centrale” ha la sua radice nel monismo deduttivo dell’Illuminismo più che nella teologia del XVI sec. Si possono individuare alcuni temi specifici rilevanti, alcune metafore fondamentali, che permettono di ricavare delle chiavi di lettura del pensiero religioso di Calvino, ma la nozione di una dottrina centrale o assioma che domini tutta l’opera non può essere sostenuta. Non esiste un “nucleo centrale”, un “principio basilare” o “premessa centrale”, non c’è una “essenza” particolare nel pensiero religioso di Calvino.

Tuttavia è evidente che in tutto il corso della sua esposizione del rapporto fra Dio e l’umanità, Calvino ritiene normativo un singolo paradigma reso manifesto dall’incarnazione, in particolare quello dell’unione senza fusione di divinità e umanità nella persona di Gesù Cristo. Sempre più spesso Calvino si richiama alla formula cristologicamente fondata: distinctio sed non separatio ossia due idee possono essere distinte ma non separate. Così la “conoscenza di Dio” e la “conoscenza di noi stessi” possono essere distinte ma non si possono avere isolatamente l’una dall’altra. Come l’incarnazione rappresenta un’istanza paradigmatica di questa complexio oppositorum, così lo stesso schema si ripete e può essere riconosciuto in tutte le varie manifestazioni della relazione fra Dio e l’umanità. In tutta la sua opera, Calvino manifesta una certa tendenza a distinguere radicalmente l’ambito divino da quello umano e tuttavia insiste sulla loro unità. Non esiste la minima possibilità di dividere Dio dal mondo o Dio dall’umanità.

Questo principio si può vedere operante in tutta l’Istituzione: la relazione fra la Parola di Dio e le parole degli esseri umani nella predicazione; fra il segno e la cosa significata nella Cena del Signore; fra credente e Cristo nella giustificazione, dove può esistere una vera comunione di persone ma non una fusione di esseri; fra il potere secolare e quello spirituale. Il pensiero di Calvino è totalmente cristocentrico non soltanto per il fatto che ha il suo centro sulla rivelazione di Dio in Gesù Cristo, ma anche perché questa rivelazione presenta un paradigma che governa le altre aree fondamentali del pensiero cristiano. Se esiste un nucleo centrale nel pensiero religioso di Calvino, questo può essere identificato in Gesù Cristo stesso.

Sostenere che il pensiero di Calvino non possa caratterizzarsi come sistema non significa dire che esso manchi di coerenza o di ordine logico interno. Piuttosto significa sottolineare l’abilità con cui Calvino, in apparenza muovendosi più come teologo biblico che come teologo filosofico, è stato capace d’integrare un gran numero di elementi all’interno della struttura complessiva del suo pensiero. In primo luogo si deve sottolineare che Calvino è un teologo biblico. La prima e più importante fonte delle sue idee religiose era la Bibbia. Se la preoccupazione principale di Calvino rimaneva la corretta interpretazione della Scrittura, di fatto la sua interpretazione era arricchita dalla tradizione cristiana. Egli non ebbe alcuna esitazione nello sviluppare le tesi che aveva difeso all’inizio della sua carriera alla Disputa di Losanna e cioè che la Riforma rappresentava una riscoperta dell’insegnamento autentico della chiesa primitiva, con l’eliminazione delle distorsioni e delle aggiunte spurie del periodo medievale. Prima di tutto Calvino considerò il suo pensiero una fedele esposizione delle idee-guida di Agostino d’Ippona. Egli ebbe un’altissima stima per alcuni dei primi scrittori medievali, come Bernardo di Chiaravalle. Per quanto tendesse a negare ogni rilevanza alla tarda teologia medievale, è evidente che Calvino ha incorporato nel suo sistema di pensiero almeno alcuni dei suoi metodi e dei suoi presupposti. Il suo volontarismo e l’implicito richiamo al metodo logico-critico sono esempi di un’affinità non necessariamente con uno specifico scrittore o una data scuola di pensiero, ma con l’impostazione intellettuale dominante della teologia a lui contemporanea. Infine, il suo debito verso la prima generazione di riformatori è sempre evidente: verso Lutero, il suo amico strasburghese Bucero e l’erudito Melantone.