Antico Egitto: dove tutto è iniziato.

SOMMARIO

1. PREMESSA

2. INTRODUZIONE

3. LA STORIA TRADIZIONALE.
a) Le origini.
b) La Palestina sotto il dominio egizio nella tarda età del bronzo.
c) L’arrivo dei proto-israeliti.
d) Le origini di Israele, l’egemonia dell’antico regno di Israele sulla Palestina.

4. UNA STORIA DA RISCRIVERE
a) L’ipotesi di David Rhol.
b) Obiezioni all’ipotesi di Rhol.

5. RAPPORTI TRA ISRAELE ED EGITTO NEL II MILLENNIO A.C.
a) Premessa
b) Abramo e l’Egitto
c) Giuseppe e l’Egitto
d) Nascita di Israele e vicende egiziane
e) La religione israelitica: una religione contro.

6. IL CONFLITTO CIRCA L’ESCLUSIVITÀ DI YHWH.
a) Il legame esclusivo di YHWH con Israele
b) Il legame esclusivo di Israele con YHWH

7. CONCLUSIONI

1. PREMESSA
La storiografia tradizionale ha sempre sostenuto che gli ebrei, dopo un lungo periodo di schiavitù, fuggì dall’Egitto grazie all’intervento miracoloso di Dio che si servì di Mosè come suo rappresentante presso il popolo. Dal dato biblico si ricava che Israele era un popolo già costituito in nazione e che fronteggiò gli egiziani. Ricerche archeologiche e storiche comparandosi fra loro offrono, però un quadro diverso ossia che i fuoriusciti dall’Egitto con Mosè non fossero i componenti del popolo ebraico, bensì un insieme di genti di varia estrazione che con ogni probabilità parlavano egiziano. Sappiamo che la Bibbia tradizionale ci narra di un popolo israelita già formato, schiavizzato e quindi fuoriuscito in massa. Partendo dallo studio del testo biblico e della letteratura extrabiblica, il rabbino Lee I. Levine (docente di Storia ebraica alla Hebrew University di Gerusalemme) scrive invece che l’identità israelitica si è formata ben dopo l’Esodo ed è il frutto di un periodo molto lungo di gestazione e accorpamento che ha coinvolto semiti e non semiti, nomadi e seminomadi, abitanti di Canaan e gente che vi è immigrata .
Ad andare ancora oltre sono gli studiosi Messod e Roger Sabbah, due fratelli di famiglia rabbinica. Usando i Targumim (bibbia aramaica) in raffronto con documenti egizi, essi scrivono che gli ebrei in Egitto non esistevano e che i fuoriusciti al tempo di Mosè erano in sostanza egiziani adoratori di Aton. Secondo le loro acquisizioni, il gruppo fuoriuscito era costituito dagli Yahud (termine egizio dal quale deriverebbe il vocabolo Yehudim, giudei, che indicava la casta dei nobili e dei sacerdoti di Aton) e dal cosiddetto “popolo di Israele” (i futuri ebrei), che era in realtà l’insieme dei proseliti: lavoratori di varie etnie poco considerati e poi relegati a vivere nella zona nord del paese di Canaan (il regno di Israele, contrapposto al regno di Giuda, costituito appunto dai nobili/sacerdoti Yehudim).
A favorire la loro uscita sarebbe stato il generale/faraone Ay che nella bibbia aramaica corrisponde a Yahweh, indicato con la doppia yod. Affermano inoltre che la lingua di questi yehudim (yehudaé in aramaico) era l’egiziano, che cessarono di usare solo nel periodo dell’esilio babilonese, quando si adattarono alla situazione per compiacere i loro nuovi governanti, avversari dell’Egitto. Insomma, partendo dalla bibbia aramaica, i due studiosi di famiglia rabbinica ricavano indicazioni diverse da quelle contenute nella bibbia masoretica, su cui sono basate sostanzialmente le attuali credenze e sulla quale io lavoro, perché è quella che viene definita “ispirata” dal dio che le teologie e ideologie di varia estrazione hanno elaborato. Senza dimenticare che l’uscita dall’Egitto di un insieme di genti, chiunque esse fossero, pare essere descritta anche nella stele di El-Arish (Museo di Ismailiya, Egitto), i cui caratteri geroglifici sono stati studiati e tradotti dal Prof. Hoffmeier (Professor of Old Testament and Near Eastern Archaeology, Trinity International University, Deerfield).
In quella stele si racconta in sostanza che molte persone, guidate da un principe del deserto che operava per conto un dio avversario, si allontanarono dal territorio e nel corso della loro marcia si accamparono in una località conosciuta col nome di Pi-Karroti. La Bibbia narra che quel popolo, guidato da Mosè che operava per conto dell’Elohim Yahweh, (avversario del faraone e quindi immaginiamo anche dei suoi “superiori”), si allontanò e si accampò in una località chiamata Pi-Akhirrot: pare proprio che la stele e la Bibbia si riferiscano alla stessa località. Dopo di che il geroglifico dell’acqua ripetuto tre volte e quello del coltello ripetuto due volte indicano, secondo il docente, che una grande “massa d’acqua” fu tagliata in due”, proprio come ci racconta la Bibbia che chiama quell’acqua “yam suf” cioè “mare di canne”.
Questo studio si propone, quindi, di analizzare le diverse prove archeologiche e le loro varie interpretazioni date dagli studiosi, non per relativizzare le verità bibliche ma con il preciso scopo di evidenziare come esse, se ben intese, possano avere quel grado di veridicità e accuratezza che molti studiosi non vogliono riconoscere.
Studiare l’origine del popolo ebraico e della sua fede in YHWH accresce e irrobustisce la fede in un Dio che parla nella sua Parola e che salva con i suoi atti potenti.

Ad maioram Dei gloria!

2. INTRODUZIONE
La cultura dell’antico Egitto ebbe un ruolo primario nella storia intellettuale ebraica. E, più tardi, anche in quella occidentale. Se non altro perché — scrive Jan Assmann, professore emerito di egittologia all’Università di Heidelberg — il monoteismo biblico nacque in contrasto e in contrapposizione con il politeismo egiziano (e mesopotamico).
Anche se nel mondo egizio non mancò un certo concetto del Dio sovrano in forma «di monoteismo inclusivo che vede Dio in tutti gli dei»; Dio come forza presente in ogni dio individuale. Ben altro, comunque, da Jhwh: «Io sono». Lo studioso afferma , che la stessa Bibbia assegna all’Egitto un’importanza predominante rispetto alla Mesopotamia, «raccontando e rievocando la diffusione del monoteismo fra i figli d’Israele come la storia del loro esodo dall’Egitto. Nella memoria biblica è l’Egitto, non la Mesopotamia, a giocare il ruolo dell’altro che deve essere abbandonato per poter abbracciare la nuova religione».
Questa linea di pensiero ha indotto Assmann a scrivere addirittura, in precedenza, il saggio Mosè l’egizio, aggiornato nel suo ultimo lavoro in cui puntualizza anche la tesi sostenuta da Sigmund Freud nel libro Mosè e il monoteismo. In esso l’illustre medico austriaco, padre della psicoanalisi, «ricostruisce le origini del monoteismo con un’interpretazione terapeutica», trattando il monoteismo «come una nevrosi compulsiva collettiva».
Il ricco testo di Assmann costituisce un’ottima anticipazione del saggio — pure edito dal Mulino nella collana «I Comandamenti» — Io sono il Signore Dio tuo, articolato in due contributi: il primo di Piero Coda, preside dell’istituto Sophia di Loppiano (Firenze), dove insegna teologia; il secondo di Massimo Cacciari, docente di filosofia all’Università San Raffaele.
Il comandamento «Io sono il Signore Dio tuo» è la prima e fondamentale prescrizione della legge mosaica. Esso apre il Decalogo e non può essere comparato con gli altri nove. Da tale comandamento ne discendono subito almeno due, come immediata conseguenza: «Non ti farai idolo né immagine», «Non nominare il nome di Dio invano». Piero Coda, nel contributo intitolato Questo Dio per la libertà, scrive che Jhwh si è rivelato a Mosè come l’unico solo Dio, venerato anche da altri popoli senza conoscerlo, «attribuendogli nomi diversi e non di rado confondendolo con gli idoli». Egli resta nascosto, quindi alle altre genti, non al popolo d’Israele con il quale stabilisce un patto di alleanza. Jhwh non è estraneo alla storia dell’uomo con il quale è in costante relazione. Irrompe nella vicenda umana con sguardo d’amore, diventando sorgente di libertà e di giustizia.
A partire dal racconto biblico si è poi andato sviluppando il concetto sempre più universale di Dio, affermato da Paolo: «Per noi c’è un solo Dio, il Padre, dal quale tutto viene e noi siamo lui; e un solo Signore, Gesù Cristo, in virtù del quale esistono tutte le cose e noi esistiamo grazie a lui».
«L’esperienza del Dio Uno, per la fede cristiana, passa per Gesù. Il che significa che passa per gli uomini, in quanto raccolti nell’umanità crocifissa e risorta col Figlio che si è fatto carne unendosi così, sino all’abisso d’identificazione dell’abbandono con ogni uomo», scrive ancora il teologo Coda. E aggiunge: «Da ciò deriva che il concetto di monoteismo va ripensato ab imis già in riferimento all’evento di rivelazione di Jhwh nell’Antico Testamento». Massimo Cacciari, nel secondo saggio intitolato Il pensiero più alto, afferma che oggi credere, è credere in un Dio Uno. La rappresentazione del divino, «articolata in una molteplicità di dominii e di figure — il politeismo pagano — che sempre ricordano la loro originaria lotta per la supremazia, per quanto possano attualmente strutturarsi in un ordine gerarchico, ci appare ormai testimonianza di un passato irripetibile, capace al più di esercitare un fascino antiquario-letterario, privo di qualsiasi valore religioso e filosofico».
Jhwh libera e guida gli ebrei dall’uscita dell’Egitto. Ma è lo stesso El Shaddaj apparso ad Abramo, a Isacco, a Giacobbe che non si fa conoscere come Jhwh. «El Shaddaj è il Signore della steppa, l’aiuto, lo scudo e la guida del nomade. Grazie alla sua presenza le tribù d’Israele hanno potuto resistere e moltiplicarsi nella morsa dei grandi imperi d’Egitto e Mesopotamia». Ma sul Sinai il Signore dei padri decide di rivelarsi a Mosè come l’Onnipotente. «Tutta la forza della sua divinità si sprigiona ed esalta nel Nome impronunciabile». È una manifestazione che Mosè comprende immediatamente. Ed è pronto a rispondere: «Eccomi». Non chiede il Suo nome per usarlo magicamente. «Il segreto nel Nome divino permane inafferrabile e ineffabile. Pretendere di conoscere il Nome per impadronirsi della sua potenza sarebbe superstizione idolatrica; credere, poi, di poter disporre del segno del Tetragramma per farsi immagine del Signore è bestemmia. Jhwh significa “non ti farai immagine”, “non lo pronuncerai invano”, anzi: “non tentare invano di pronunciarlo”. Mosé non chiede a Dio di svelarsi». Ma non gli può bastare l’affermazione «Io sono l’Elohim, di tuo padre» per poter condurre il suo popolo sull’unica via verso Canaan. «L’Alleanza va rinnovata sulla radice di una Legge scritta dal dito di Dio». Tuttavia la lotta di Mosé potrà avere successo «soltanto se Dio vorrà rivelare tutta la potenza del proprio Nome». Jhwh rassicura il profeta: «Io sono colui che vi libera, Io sono colui che vi guida, Io sono Chi vi detta i precetti, senza di cui vi disperderete tra i popoli. Il mio essere è presenza viva, e la mia presenza è azione».

3. LA STORIA TRADIZIONALE .
a) Le origini.
Le prime testimonianze della presenza dell’uomo nell’area palestinese attualmente controllata dallo stato di Israele risalgono al paleolitico medio e si riferiscono all’“uomo di Galilea”, i cui resti furono rinvenuti a nord-est del lago di Tiberiade. Fu però dalle prime fasi del neolitico che la Palestina acquistò una posizione importante nel Vicino Oriente. Fra il 10.000 e il 7500 a.C. si sviluppò la cultura natufiana (dal sito di Wadi Natuf), caratterizzata da un’industria litica specializzata nella caccia, a cui seguì una fase (dal 7500) il cui esempio più significativo è rappresentato dal sito di Gerico. Scarsamente toccata dalla prima urbanizzazione che trovò piena espressione nella bassa Mesopotamia fra il 3500 e il 3200, la Palestina conobbe invece una grande diffusione della civiltà urbana nel III millennio: si affermarono allora i centri di Bet Yerah sul Lago di Tiberiade, di Megiddo all’estremità settentrionale della valle dell’Iron, e di Gerico nell’oasi omonima a nord del Mar Morto. Proprio in questa fase la regione cominciò a essere oggetto di interesse da parte degli egizi, che però si limitarono a sporadici interventi armati per difendere la sicurezza dei loro commerci contro gli attacchi dei nomadi. Alla fine del III millennio il sistema urbano palestinese entrò temporaneamente in crisi per il dilagare degli amorrei, popolo di lingua semitica con struttura tribale, per poi riaffermarsi nel corso del XIX secolo, quando si costituirono una serie di città stato cananee rette da sovrani locali. Fra il 1750 e il 1600 la cultura materiale palestinese raggiunse il massimo splendore e si diffuse anche nella zona del delta del Nilo, in concomitanza con una fase di crisi del potere centrale in Egitto. È possibile che nel XVIII secolo sia anche da collocare la prima immigrazione israelitica in Palestina avvenuta, secondo il racconto della Genesi, sotto la guida di Abramo a partire dalla città di Carran (nell’alta Mesopotamia).
b) La Palestina sotto il dominio egizio nella tarda età del bronzo.
Politicamente divisa nei piccoli regni cittadini cananei, la Palestina fu conquistata dagli egizi fin dall’epoca dei primi faraoni della XVIII dinastia: già Thutmosi I intraprese una campagna vittoriosa in quest’area che poi, nella prima metà del XV secolo, Thutmosi III organizzò definitivamente nella provincia di Canaan. Capoluogo era la città di Gaza, sede del governatore del faraone. Continuarono comunque a sussistere in parecchie città re locali, che divennero vassalli del faraone, al quale dovevano versare tributi e fornire aiuto militare. Sul piano economico-sociale nella tarda età del bronzo si registrò una riduzione dell’area degli insediamenti (soprattutto a destra del Giordano), cui corrispose un aumento del nomadismo: nel complesso comunque la zona fu scarsamente abitata e il numero degli abitanti, soprattutto dalla metà del XIV secolo, continuò a diminuire. Molteplici furono le cause del fenomeno: le campagne militari egiziane con le loro distruzioni e deportazioni da un lato e dall’altro l’eccessivo onere fiscale e di lavoro cui furono sottoposti i contadini dalla classe dirigente locale. Ciò comportò il progressivo indebitamento e la perdita della libertà per molte persone, oltre a fenomeni generalizzati di fuga e di abbandono dei villaggi. Nello stesso periodo, tuttavia, si registrarono una notevole fioritura dei palazzi, l’apogeo della classe dirigente urbana, lo sviluppo di un artigianato altamente apprezzato dagli stessi dominatori (soprattutto tessuti di lana, attrezzi e armi di bronzo, vetri e gioielli) e l’affermazione di una cultura piuttosto raffinata. Quest’ultima assorbì alcuni elementi babilonesi e si espresse in accadico a livello ufficiale (mentre il cananaico era l’idioma parlato) con una scrittura di tipo alfabetico.
Nella seconda metà del XIII secolo, quando tutto il settore del Mediterraneo orientale divenne teatro di grandi sommovimenti e migrazioni di popoli, alcuni gruppi di filistei entrarono probabilmente al servizio dei sovrani egizi e assunsero per conto di essi il controllo della zona siro-palestinese. Solo all’inizio del XII secolo si ebbe la cosiddetta “invasione” dei “popoli del mare”, di cui facevano parte gli stessi filistei. È anche probabile che in questa fase, forse per sfuggire alla carestia e approfittando delle difficoltà egiziane, alcuni gruppi di israeliti stanziati nella Palestina meridionale si siano spinti verso il delta del Nilo e abbiano ottenuto più o meno ufficialmente la possibilità di stabilirsi entro i confini del regno. A seguito dell’invasione dei popoli del mare la Palestina si affrancò dal controllo egiziano e sul suo territorio si insediarono definitivamente i filistei, che occuparono la zona costiera meridionale – la cosiddetta Pentapoli, costituita dalle città di Gaza, Ashdod, Ascalona, Gat, Akkaron – tra il confine egiziano e Gerusalemme. Di qui tentarono anche di espandersi verso l’interno, approfittando della debolezza militare delle altre popolazioni.
c) L’arrivo dei proto-israeliti.
Innanzitutto bisogna partire da un’attenta analisi dei dettagli del racconto biblico per poi rinvenire sul terreno le prove che ci permettono di collegare i fatti narrati dalla Bibbia ai fatti storici. Le testimonianze più antiche dell’Esodo furono scritte in antico ebraico nei primi cinque libri della Bibbia (Pentateuco), conosciuti come Torah. In realtà la storia dell’Esodo inizia prima che gli israeliti lascino l’Egitto. Essa inizia con Abramo, quando JHWH lo conduce nella terra di Canaan e stringe un’alleanza con lui. Nelle parole di quell’alleanza viene descritto l’intero esodo: “E l’Eterno disse ad Abramo, dopo che Lot si fu separato da lui: «Alza ora i tuoi occhi e mira dal luogo dove sei a nord, a sud; a est e a ovest. Tutto il paese che tu vedi, io lo darò a te e alla tua discendenza, per sempre. E renderò la tua discendenza come la polvere della terra; per cui, se qualcuno può contare la polvere della terra, si potrà contare anche la tua discendenza” (Ge 13,14-17; 15,18-21; 17,1-8). Quel giorno Dio strinse un’alleanza e fece una promessa formale ad Abramo e aggiunse: “Poi lo condusse fuori e gli disse: «Mira il cielo e conta le stelle, se le puoi contare», quindi aggiunse: «Così sarà la tua discendenza»…. Allora l’Eterno disse ad Abramo: «Sappi per certo che i tuoi discendenti dimoreranno come stranieri in un paese che non sarà loro, e vi saranno schiavi e saranno oppressi per quattrocento anni. Ma io giudicherò la nazione di cui saranno stati servi; dopo questo, essi usciranno con grandi ricchezze” (Ge 15,5.13-14).
Il libro della Genesi ci dice che il primo discendente di Abramo ad arrivare in Egitto fu il suo pronipote Giuseppe, figlio di Giacobbe. Il racconto biblico dice che Giuseppe fu venduto come schiavo dai suoi fratelli ad una carovana di mercanti che lo portarono in Egitto: “Come quei mercanti madianiti passavano, essi tirarono su Giuseppe, lo fecero salire dalla cisterna, e lo vendettero per venti sicli d’argento a quegli Ismaeliti. Questi condussero Giuseppe in Egitto” (Ge 37,28.36; 39,1). In uno straordinario svolgersi di eventi, Giuseppe sale di grado fino a divenire il primo ufficiale d’Egitto, salva il paese da una terribile carestia e consente al padre Giacobbe e a tutta la sua famiglia di stanziarsi nella zona migliore del paese chiamata Goshen (Ge 39,2-6; 41,41-46).
Sulla identificazione precisa di Goshen ci sono fortissime difficoltà; è il nome ebraico che la LXX rende Γεσευ e la Vulgata Gessen la località dove avrebbero dimorato Giacobbe e i suoi discendenti nell’emigrazione in Egitto. Sembrerebbe identica alla terra di Ramses; i LXX scrivono “Gesem di Arabia” ma è dubbia anche quest’ultima identificazione. Per essi la terra di Ramses sarebbe Heroompol, cioè Pithom, per molti quasi certamente Avaris, che da un lato è il luogo di incontro di Giuseppe con il padre e i fratelli, dall’altro sarebbe stata anch’essa edificata dagli ebrei nonostante sia negata dal prevalente orientamento scientifico. Si è anche proposto di identificare Ramses con l’egiziana Per-Ramses, residenza di Ramses II nel delta del Nilo, di cui si ha traccia sino al IV sec. a.C. in ogni caso si pone una domanda: ci sono prove dell’arrivo di questa famiglia in Egitto, così come dice la Bibbia? in realtà si trovano solo tracce della presenza di pastori nel sito di Avaris.
d) Le origini di Israele, l’egemonia dell’antico regno di Israele sulla Palestina.
Secondo la narrazione biblica fra il XIII e l’XI secolo si formò l’entità etnico-politica di Israele. In questa fase vi sarebbero stati una prima cattività in Egitto (probabilmente durante il regno di Ramesse II), poi l’esodo sotto la guida di Mosè (avvenuto forse durante il regno del successore di Ramesse II, Merenptah) e il ritorno in Palestina, che sarebbe stata conquistata dal popolo d’Israele, ormai stretto in una lega di tribù guidata da Giosuè. Alla distruzione delle città cananee da parte israelitica sarebbe poi seguita l’età dei Giudici, ultima tappa prima dell’instaurazione di una monarchia unitaria. Al di là della ricostruzione biblica – che risale in gran parte all’epoca dell’esilio babilonese (VI-V secolo a.C.) – sembra probabile che nel XII secolo abbia avuto inizio in Palestina il processo di formazione dello stato nazionale israelita. Nell’area più interna della Transgiordania, si formarono, in questo stesso periodo, i regni etnici degli ammoniti, dei moabiti e degli edomiti. Probabilmente furono però le tribù israelitiche della zona centrale della Cisgiordania le prime a raggiungere una certa consapevolezza della propria unità nazionale, anche perché esse dovevano fronteggiare popolazioni diverse (i filistei a ovest, e nell’area transgiordana gli ammoniti a nord, i moabiti a est, gli edomiti a sud). L’“età dei Giudici” di cui parla l’Antico Testamento sarebbe quindi identificabile con la fase di consolidamento del popolo di Israele in Palestina (XII-XI secolo) a danno delle città cananee e degli stessi filistei. In questa fase il popolo di Israele era ancora caratterizzato dalla tradizionale struttura gentilizia tipica dei gruppi nomadi e pastorali ed era suddiviso in dodici tribù: i giudici erano infatti dei magistrati tribali che venivano generalmente acclamati dal popolo, su indicazione di un profeta, in occasione di gravi pericoli esterni. Intorno al 1000 a.C., in concomitanza con l’aggravarsi della minaccia esterna, soprattutto filistea, il popolo d’Israele iniziò a darsi una forma di governo monarchica, nella quale il sovrano rappresentava la massima autorità giuridica e militare e il garante dell’unione del popolo. Primo re d’Israele fu, secondo il racconto biblico, Saul. Dopo la sconfitta finale contro i filistei e la morte dello stesso Saul nella battaglia di Gelboe, Davide (1000-960 ca.) fu riconosciuto re, dapprima dalla tribù di Giuda, poi anche dalle tribù settentrionali: si scongiurò così una nuova divisione del popolo d’Israele e si posero le basi per l’avvio di una politica espansionistica che portò all’unificazione della Palestina. I filistei vennero sconfitti da Davide e le loro città stato nella Pentapoli furono ridotte al rango di tributarie; le ultime città stato cananee furono invece direttamente incorporate nello stato d’Israele e la città di Gerusalemme, strappata ai gebusei, divenne la nuova capitale unitaria. Esteso su tutta la Palestina, lo stato davidico si espanse poi verso oriente, nella Transgiordania centrale e meridionale, sconfiggendo il regno di Ammon (che fu annesso al regno d’Israele attraverso l’unione personale delle due corone), quello di Moab (ridotto al rango di vassallo) e quello di Edom (che divenne un possedimento personale di Davide). Anche la Transgiordania settentrionale e la Siria, sede di una federazione di stati autonomi aramaici fra i quali spiccava quello di Damasco, furono sottomesse all’autorità di Israele e sottoposte a tributo. Sotto il regno del figlio di Davide Salomone (961-22 circa) fiorirono invece le attività economiche e soprattutto mercantili (importanti le imprese commerciali a lungo raggio avviate in società con i fenici), i cui proventi permisero di dare impulso a una grande attività edilizia, concentrata soprattutto a Gerusalemme. Nella capitale vennero costruiti il palazzo reale e il tempio di Jahweh. Sotto il regno di Davide e Salomone questo vasto organismo politico raggiunse la sua fase più matura. L’attività diplomatica e commerciale si sostituì progressivamente alle imprese militari. Israele toccò allora il suo apogeo e la memoria di questa condizione diede poi sostanza alle successive pretese egemoniche israelitiche nella regione siro-palestinese. Nonostante gli sforzi compiuti dai due sovrani per creare una classe di funzionari statali sul modello egiziano, un esercito coeso (meno legato alle strutture tribali e basato invece sull’utilizzo di forze mercenarie) e un sistema fiscale più razionale, il regno israelitico risultò pur sempre un’entità scarsamente unitaria. Il contrasto fra israeliti e cananei, ma soprattutto l’ostilità fra gli stessi israeliti della tribù di Giuda e quelli delle tribù settentrionali, il malcontento suscitato dalla pressione fiscale della corte e l’intransigenza religiosa di alcuni gruppi, portarono presto a una nuova divisione.
4. UNA STORIA DA RISCRIVERE.
a) L’ipotesi di David Rhol.

Nel suo libro Pharaohs and Kings: A Biblical Quest (1995; esso fu inizialmente pubblicato in Inghilterra col titolo as A Test of Time: The Bible – From Myth to History), David Rohl sosteneva di avere prodotto una migliore correlazione tra i reperti archeologici e la Bibbia mediante una rivisitazione della cronologia Egizia. Si è tentati di rigettare Rhol come uno dei tanti picchiatelli e dedicarsi ad argomenti più importanti. Rhol, invece, non deve essere liquidato così bruscamente. Al contrario della maggior parte di coloro che hanno tentato di rivisitare la storia antica, vanta una certa preparazione scolastica ha studiato Egittologia e storia antica all´University College di Londra. In più il pubblico dei profani, in larga parte grazie al video tratto dal suo libro, si è innamorato delle sue supposte correlazioni col testo biblico.
Rohl descrive l´attuale stato di cose in materia di Archeologia Biblica come segue:
“…scavi archeologici in Egitto e in Oriente, effettuati nel corso degli ultimi due secoli, non hanno prodotto evidenze tangibili per supportare l´autenticità storica delle prime narrazioni bibliche. Materiale a diretto supporto della storia tradizionale della nazione Israelita, come letta nei libri di Genesi, Esodo, Giosuè, Giudici, Samuele, Re e Cronache, sono virtualmente inesistenti. Quest´affermazione è superficialmente esagerata e non esatta, come qualsiasi testo o rivista di archeologia biblica potrebbe dimostrare”.
Con un tale commento, Rohl ha creato un feticcio, tramite il quale può ora procedere alla documentazione della sua nuova cronologia. Ma sfortunatamente, la cura è peggio della malattia, perché neppure la nuova cronologia produce appropriate correlazioni. Rohl tenta di spostare verso il basso la cronologia egizia di alcune centinaia di anni per il periodo precedente al 664 a.C. Il saccheggio di Tebe da parte di Assurbanipal nel 664 a.C. è accettato come data fissa e diviene punto di partenza per tale revisione. In tal modo egli procede ad accorciare la XX Dinastia Egizia e sovrapporre la XXI e XXII Dinastia. Alcuni studiosi hanno criticato l´aspetto egittologico della sua idea (Bennet 1996; Brissaud 1996; Kitchen 1996; Van Haarlem 1997) ma nessuno ha mai valutato con attenzione l´impatto che avrebbe sull´archeologia palestinese e le risultanti correlazioni, o piuttosto diversioni, rispetto alla storia Biblica.
Una revisione della cronologia egizia coinvolgerebbe direttamente la datazione dell´Età del Bronzo e dell´inizio dell´Età del Ferro in Palestina, poiché la datazione di questi periodi è dipendente dal sincronismo con la storia egiziana. La cronologia biblica, d´altro canto, rimane invariata in quanto essa deriva dal sincronismo con l´Assiria nel periodo di Regno Diviso, ed è calcolata a ritroso usando i dati cronologici interni alla Bibbia
Così, secondo lo schema di Rohl, la Conquista sarebbe avvenuta nel Medio Bronzo IIB; il periodo dell´Amarna (Tardo Bronzo IIA) sarebbe contemporaneo alla Monarchia Unita, e Labayu delle Lettere dell´Amarna sarebbe nientemeno che il Saul biblico. La Tarda Età del Bronzo sarebbe contemporanea all´inizio della Monarchia Divisa, essendo Ramesse II il Shishak della Bibbia. L´Età del Ferro, tradizionalmente compresa tra 1200-1000 a.C. sarebbe ridotta a soli 30 anni tra l´820 ed il 790 a.C. e coprirebbe i regni di Joash ed Amaziah (Giuda) e Jehoahaz e Jehoash (Israele).
LA CONQUISTA DI CANAAN
Riguardo la data della Conquista, Rohl oscilla tra una data anteriore (ca. 1410 a.C.) ed una posteriore (ca. 1210 a.C.) a seconda di quel che meglio si attaglia ai suoi propositi.
La Conquista in età anteriore.
Rohl sostiene che la sua cronologia revisionata risolverà il “problema” della Conquista. Nella sua ricerca di prove archeologiche usa la data del 1410 a.C. per la Conquista. Questa cadrebbe verso la metà del Medio Bronzo IIB, secondo il suo schema. Il Medio Bronzo IIB è generalmente compreso dalla metà della XIII Dinastia alla metà della XV, cioè 1540-1240 a.C. nella cronologia revisionata (ca. 1750-1615 nella cronologia tradizionale). Gli Israeliti, dice Rohl, “erano portatori della cultura della Media Età del Bronzo delle colline centrali del paese”
Ma non esiste il benché minimo appiglio nei dati archeologici per una simile ricostruzione. Il Medio Bronzo IIB fu caratterizzato da grande prosperità. Non esistono prove di discontinuità o di distruzione diffusa alla metà di questo periodo. Se la Conquista si fosse verificata in quel tempo, allora gli Israeliti nomadi avrebbero preso il sopravvento pacificamente sulle grandi città stato, e continuato ininterrottamente la cultura Canaanita per i successivi 200 anni. Questo avrebbe necessariamente lasciato traccia sul design, sulle costruzioni, e sul mantenimento dei grandi centri urbani in tutta la terra di Canaan, inclusa la costruzione di massicci sistemi di fortificazione e templi in molti siti. Una tale situazione è contraria al testo Biblico e alla stessa affermazione di Rohl secondo cui:
Gli Israeliti erano essenzialmente dediti alla pastorizia fino al periodo della Monarchia Unita, piuttosto che abitanti di città. In aggiunta, gli ex-nomadi avrebbero dovuto possedere un´avanzata conoscenza della tecnologia in ambito metallurgico e della produzione di manufatti di ceramica. Avrebbero anche dovuto avere relazioni internazionali con i regnanti Hyskos Egiziani (Dever 1987). Si tratta di uno scenario altamente improbabile. La Bibbia dipinge gli Israeliti durante il periodo dei Giudici che seguì la Conquista, come sottomessi alle nazioni circostanti e stanziati in tende (Giudici 2:8, 1Sam 4,10; 13,2) In più, non svolgevano i loro riti in templi fatti di pietra e mattoni di fango, ma in un Tabernacolo innalzato provvisoriamente in un centro religioso a Silo. (Giosuè 18,1; 1Sam 1,1-3).
Rohl tenta di proporre il caso che la città di Gerico dell´Età del Bronzo fu distrutta in parte nel corso del Medio Bronzo IIB (Kenyon 1993; Bienkowski 1989) e in parte nel Tardo. Questo non può essere comunque, poiché ci sono tracce della città, attestate dalle ceramiche, nel Medio Bronzo IIB, Medio Bronzo IIC (Kenyon 1993; Bienkowski 1989) e Tardo Bronzo I (Wood 1990). Similmente, Rohl collega la distruzione di Azor con la Conquista, mentre è risaputo che ciò avvenne alla fine del Medio Bronzo IIC (Ben-Tor 1993), e non nel corso del Medio Bronzo IIB.
La Conquista in età posteriore.
Rohl usa diverse volte la data posteriore della Conquista (ca. 1210 a.C.) per dimostrare la mancanza di correlazioni archeologiche e, di conseguenza, la necessità di rivisitare la cronologia egiziana. Ancora una volta costruisce un feticcio. Nessuna prova può, infatti, essere trovata a supporto di una Conquista nel Tardo XIII secolo a.C., dal momento che l´evento è occorso 200 anni prima, nel tardo XV secolo a.C. secondo le notazioni cronologiche offerte dalla Bibbia. Usando la cronologia convenzionale, esiste una prova forte a sostegno del racconto Biblico della Conquista (Wood 1990; 1999a; 1999b; 1999c; 1999d; 2000a; 2000b).
Frank Yurco ha creato un caso per identificare il rilievo sul “Muro di Ashkelon” a Karnak. come una rappresentazione pittorica della campagna di Merenptah a Canaan nel 1210 a.C. come registrato nella Stele Merenptah (Yurco 1986). Il rilievo ritrae il capo Israelita che conduce un carro. Rohl sostiene che la cronologia convenzionale in questo caso non potrebbe operare dal momento che gli Israeliti erano appena arrivati là nel 1210 a.C. e pertanto non avrebbero avuto il tempo per sviluppare la tecnologia bellica dei carri. Attenendoci alla data biblica per la Conquista, il 1410 a.C., gli Israeliti si sarebbero già trovati sul territorio da 200 anni per il tempo di Merenptah, periodo più che sufficiente per sviluppare i carri da guerra.
Infatti, la Bibbia stessa indica che gli Israeliti avevano carri per il tempo della campagna di Merenptah. Poco prima di questa, nel 1230 a.C. circa, l´Israele aveva ingaggiato una battaglia contro “novecento carri di ferro” il che implica che essi stessi avessero carri. (Giudici 4). La battaglia fu combattuta in aperta campagna al fiume Kison, ed il comandante israelita Barak “combattè contro i carri” mostrando implicitamente che avesse carri egli stesso.
Rohl ripropone la data posteriore per la Conquista quando si occupa delle Lettere dell´Amarna. Egli sostiene che se i riferimenti all´Apiru contenuti nelle lettere (metà del XIV secolo a.C. secondo la cronologia convenzionale) sono in realtà riferimenti agli Ebrei, qualcosa deve essere errato nella cronologia convenzionale, dal momento che gli Israeliti non arrivarono sul territorio prima della fine del XIII secolo a.C.
Ancora una volta, se si utilizza invece la data biblica della Conquista, tutto va bene dal momento che le Lettere dell´Amarna proverrebbero dal primo periodo dei Giudici (cf. Wood 1997).
TARDO BRONZO
I Filistei vengono menzionati raramente da Rohl. E per una buona ragione distruggerebbero la sua ricostruzione. Secondo la cronologia revisionata, la Monarchia Unita corrisponderebbe al Tardo Bronzo IIA. I primi due re della Monarchia Unita, Saul e David, erano coinvolti nelle lotte contro i Filistei. Ma i Filistei, secondo la ricostruzione di Rohl non arrivarono a Canaan fino al regno di Ramesse III, all´inizio dell´Età del Ferro (Wood 1991), 800 a.C. circa. Così ci verremmo a trovare nella paradossale situazione in cui Saul e David combatterono un nemico che non appare nei dati archeologici o storici fino a 300 anni dopo!
La distruzione di Silo.
Rohl ritiene di poter datare la distruzione della costruzione fortificata del Medio Bronzo a Silo al periodo Tardo Bronzo IIA e la collega alla distruzione Filistea di cui si parla in 1Samuele 4 ed in Geremia 7:12, 14 e 26:6, 9. Ma questo non può essere. Prima di tutto nessuna ceramica del Tardo Bronzo IIA è stata trovata al livello della distruzione per suggerire che essa potesse essere datata a questo periodo di tempo (Finkelstein 1993). In secondo luogo, come puntualizzato sopra, prove per l´apparire dei Filistei non sono date fino all´inizio dell´Età del Bronzo, più di un secolo dopo.
La distruzione di Silo nella prima metà dell´XI secolo a.C. secondo la cronologia standard si attaglia invece alla distruzione filistea nominata nella Bibbia.
Le lettere dell´Amarna.
Secondo la cronologia di Rohl, il periodo Amarna è contemporaneo alla Monarchia Unita. Lo scenario politico descritto nelle Lettere dell´Amarna, comunque, è molto differente da quello del periodo della Monarchia Unita. Nel periodo Amarna, Canaan era dominata da molte città stato indipendenti, in vassallaggio all´Egitto, insieme con il problematico Apiru. La Palestina nel periodo della Monarchia Unita, con l´eccezione della Filistea, era politicamente unita sotto un solo re, e infatti durante i regni di Saul e David i maggiori avversari divennero i Filistei.
Secondo le correlazioni di Rohl, Labayu, re di Shechem nel periodo dell´Amarna, non è altri che il Saul della Bibbia. Ma non c´è una virgola di somiglianza nelle carriere dei due individui. Alcuni esempi saranno sufficienti a capire.
-La capitale di Saul era Gabaa (1 Samuele 10:26); opposta a Shechem, la capitale di Labayu. Gabaa è collocata a Tell el-Ful oppure a Geba (Arnold 1992). In ogni caso non vi fu occupazione nel Tardo Bronzo IIA tale da far coincidere le date di Rohl relative a Saul e questo lasso di tempo.
-Labayu era un vassallo egiziano. Nessun passo della Bibbia suggerisce che Saul fosse un vassallo egiziano.
-Labayu fu preso prigioniero e scortato in Egitto per il suo comportamento infedele. Tentò di liberarsi corrompendo i suoi carcerieri. La Bibbia non riporta niente di simile per Saul.
-Labayu probabilmente morì nelle mani dei suoi seguaci vassalli (Campbell 1965), mentre Saul morì sul monte Gelboe, in battaglia contro i Filistei. (1Samuele 31).
Gli uomini di David combatterono gli uomini di Is-Baal, figlio di Saul, al lago di Gabaon (2 Samuele 2:12-17). Questo lago artificiale si crede sia stato scavato nella Età del Ferro I, non nel Tardo Bronzo IIA, come secondo la ricostruzione di Rohl (Pritchard 1961). Rohl trova il nome delle figure bibliche, Jesse, David, Joab, Ishbaal, e Baanah nelle Lettere dell´Amarna. Queste furono scritte a Yanhamu, un commissionario Egiziano a Gaza. Ma non si legge alcun riferimento nella Bibbia al fatto che David fosse in vassallaggio all´Egitto o avesse alcun affare con gli Egiziani. In più Gaza non era sotto il controllo degli Egiziani al tempo di David, ma piuttosto dei Filistei e poi degli Israeliti.
La costruzione media di Gerico.
Riguardo all´occupazione di Gerico conseguente alla Conquista, Rohl fa le seguenti considerazioni:
“…la volta successiva in cui abbiamo menzione di Gerico, dopo la distruzione della città da parte di Giosuè, è durante il regno di Davide”.
Questo è semplicemente scorretto. La prima menzione di Gerico, successiva alla distruzione da parte di Giosuè si trova in Giudici 3 dove viene detto che Eglon, re di Moab, prese possesso della “Città delle Palme” e vi costruì un palazzo. La Città delle Palme, ovviamente, altro non è che Gerico (Deuteronomio 34:3 “…Gerico, città delle palme…”; 2 Cronache 28:15 “…li condussero in Gerico, città delle palme…”). Rohl fa un collegamento tra la “Costruzione Media” del Tardo Bronzo IIA a Gerico, dissotterrata da John Garstang nel 1933 ed il luogo di reclusione della delegazione israelita di Davide a Gerico registrata in 2 Samuele 10:5. La Bibbia non ci dice cosa, se qualcosa, esistesse a Gerico ai tempi di David. La Costruzione Media di Garstang, d´altro canto, corrisponde esattamente alla descrizione del luogo di Eglon di Giudici 3 secondo la cronologia convenzionale. Era un´isolata struttura a palazzo, che non corrispondeva ad alcuna città. C´erano tracce di ricchezza (ceramiche costose d´importazione) e attività amministrative (tavolette d´argilla incise). La Costruzione Media fu eretta verso la fine del XIV secolo a.C., secondo la cronologia convenzionale, che corrisponde al periodo raccontato in Giudici 3 secondo la Cronologia Biblica. Fu occupata solo per un breve periodo di tempo e quindi abbandonata, facendo da parallelo alla descrizione Biblica di un´oppressione di 18 anni da parte di Eglon e la seguente rivolta dei Moabiti da parte di Eud e degli Israeliti.
TARDO BRONZO IIB
Gerico
Rohl data la fase successiva all´occupazione di Gerico, in seguito alla Costruzione Media al periodo Tardo Bronzo IIB. Quindi identifica tale fase con la ricostruzione di Gerico effettuata da Chiel di Betel (1 Re 16:34). Rohl è ancora una volta scorretto nella sua datazione. La successiva fase occupazionale a Gerico seguendo la Costruzione Media è databile a Ferro I, non al Tardo Bronzo IIB (M. and H. Weippert 1976). Non ci sono prove per l´occupazione di Gerico nel Tardo Bronzo IIB.
La stele di Merenptah.
Nella sua discussione sulla stele di Merenptah, Rohl evita di trattare un importante dettaglio che danneggerebbe la sua ricostruzione e la sua cronologia. La Stele di Merenptah registra una campagna a Canaan entro i primi quattro anni del regno di Merenptah, nel 1210 a.C. circa secondo la cronologia convenzionale egiziana e 867 a.C., secondo la cronologia di Rohl. In questi dati si trova il primo riferimento extra-biblico alla nazione di Israele è devastata ma non lo è il suo seme” (Hoffmeier 1997). Il nome Israele è scritto con il determinativo per “gente”, distintivo rispetto agli altri nomi dell´iscrizione che recano invece il determinativo per “territorio”. Questo indica che gli Israeliti non erano un popolo stanziale a quel tempo, ma erano pastori e vivevano in tende (Hoffmeier 1997). La cronologia standard data il testo alla metà del periodo dei Giudici. Secondo la Bibbia, come già rilevato, gli Israeliti vivevano in tende a quel tempo. La cronologia di Rohl, d´altro canto, daterebbe il testo al Regno Diviso, quando gli Israeliti erano ormai altamente urbanizzati, molti di loro vivendo in città fortificate.
Il regno di Salomone.
Rohl costruisce un altro fantoccio dichiarando che i resti archeologici sparsi risalenti al X secolo a.C. sono incompatibili con la ricchezza del regno di Salomone per come descritto nella Bibbia. Portali finemente costruiti e architetture relative, sono state trovate a Ghezer, Meghiddo e Azor, e associate con 1 Re 9:15. Rohl rifiuta l´evidenza, comunque sostenendo: Strutture monumentali una volta attribuite all´attività di Salomone nelle città di Meghiddo, Ghezer e Azor, sono state mostrate nel corso degli anni per associare secoli distinti a vari periodi archeologici-. Questa è l´opinione minoritaria di pochi studiosi. Il tentativo di ridatare questo materiale è stato decisamente rifiutato da Bill Dever, John Holladay, e altri. Dever ha riesaminato le prove del regno di Salomone e mostrato come questo sia stato un periodo d´eccezionale prosperità.
Rohl lamenta che “non è mai stato trovato alcun raffinato artefatto adornato con pietre semi-preziose e intarsi, né oro, né argento o avorio risalenti al tempo di Salomone.” Ma questa ricchezza, naturalmente, era conservata a Gerusalemme, città continuamente occupata, saccheggiata, demolita e ricostruita fin dai tempi più remoti. Non c´era da aspettarsi di trovare alcun reperto di questo genere. Con una simile dichiarazione Rohl sembra volersi mostrare deliberatamente digiuno di processi archeologici. Si aspettava davvero di trovare simili tesori? Sarebbero stati lasciati intatti dagli antichi saccheggiatori e predoni, per essere ritrovati dagli archeologi moderni? La risposta è ovvia. Raramente i valori rimangono intatti per secoli o millenni prima di essere trovati. L´unica possibilità di trovare beni di valore risalenti ai tempi antichi, sarebbe quella di entrare in tombe non violate. Alcune tombe sono state individuate entro i confini della Gerusalemme di Salomone, incluse due tombe monumentali che potrebbero essere quelle degli stessi David e Salomone; ma anch´esse sono state profanate molto tempo fa. Gerusalemme, ove la ricchezza di Salomone era conservata, fu saccheggiata dagli Egiziani, Assiri e babilonesi. Kennet Kitchen ritiene che vi siano prove che l´ingente tesoro di Salomone sia stato prelevato proprio dagli Egiziani.
Monarchia Divisa.
La spiegazione di Rohl per l´improvviso aumento negli stanziamenti nel I periodo dell´Età del Ferro e che essi
…sono un diretto risultato delle sortite militari degli Aramei nel territorio di Israele durante il regno di Jeu e Jehoahaz. L´aumento della popolazione nelle regioni collinose centrali fu la conseguenza di un movimento migratorio dalle distanti aree del regno verso il cuore di Israele, ove la protezione risultava più praticabile. Ci sono parecchi problemi che ostano ad una simile ricostruzione.
-Primo, non è del tutto chiaro se un aumento nei piccoli villaggi agricoli nell´Età del Ferro indichi un aumento della popolazione. E´ più probabile che esso significhi una modifica nel tipo di vita, un passaggio dal semi-nomadismo ad una stabilizzazione degli stanziamenti, determinatosi come conseguenza delle mutate condizioni sociali ed economiche.
-Secondariamente, non vi sono prove di un movimento dalle aree esterne al cuore del paese. Tutte le aree sperimentarono un aumento degli stanziamenti nel primo periodo dell´Età del Ferro.
-In terzo luogo, non ci sarebbe più protezione nelle aree centrali del paese che in qualunque area marginale, se non nel caso in cui si parlasse di stanziamenti fortificati.
Conclusione.
E´ chiaro che, da una prospettiva Palestinese, l´ipotesi di Rohl è piuttosto impraticabile. Piuttosto che evidenziare le correlazioni tra l´archeologia e la Bibbia, la sua nuova cronologia verrebbe a distruggere le molte forti correlazioni verificate della cronologia tradizionale.

b) Obiezioni all’ipotesi di Rhol.
Il faraone Akhenaton è passato alla storia, paradossalmente, come il Faraone eretico per via del suo monoteismo che rompeva con i tradizionali culti egiziani. Ma si sa, ogni rivoluzione culturale drastica, che rompa col passato è di per sé eretica. Ogni tentativo di sovvertire l’ordine costituito, persino per la più nobile delle cause o il più alto degli ideali, è malvisto. Specie se va ad urtare gli interessi di chi anche grazie al sentimento religioso occupa posizioni di rilievo e potere. La lotta del faraone per la sua religione divenne più importante e significativa per i suoi risvolti politici e per il danno che arrecava al clero. Akhenaton ovvero Amenhotep IV, figlio di Amenhotep III, regnò, secondo la datazione tradizionale, tra il 1350 ed il 1334 a.C. Il suo nuovo nome ossequiava il suo dio Aton, il disco solare, oggetto del suo culto monoteistico, così come la sua più grande opera, la città che egli volle e fece costruire, Akhetaton. Nel luogo dove questa sorgeva, chiamato oggi El Amarna, circa 3000 anni dopo la sua gloria, nell’anno 1887, venne rinvenuto l’archivio della corrispondenza di Amenhotep III e di suo figlio. Una preziosa testimonianza dei tempi di questi re egiziani, ma anche dei loro regni vassalli e vicini. Infatti nelle lettere di Amarna , rinveniamo la corrispondenza fra i re Assiri, Babilonesi, cananei. 400 tavolette circa, oggi sparse per il mondo, divise fra Berlino, Londra ed Oxford. La lingua utilizzata in questa corrispondenza è l’accadico, un dialetto babilonese, in uso come lingua diplomatica del tempo, come oggi lo sono l’inglese o il francese. La scrittura è in caratteri cuneiformi.
Tra le altre cose, in queste lettere che il re della dinastia cassita di Babilonia, Kadashman Enlil I scrive al faraone Amenhotep III: “Kadashman Enlil di Babilonia ad Amenhotep d’Egitto…Come è possibile che avendoti scritto per domandarti la mano di tua figlia, fratello mio, tu mi abbia scritto utilizzando un tale linguaggio, dicendo che non me l’avresti concessa visto che dai tempi più remoti nessuna figlia del re d’Egitto è stata mai data in sposa?” –. Il re babilonese chiama il faraone suo fratello ed appare piuttosto contrariato dal diniego e dalla spiegazione data. Il fatto è che i re egizi, consci del proprio potere e tradizione erano riluttanti a riconoscere altri sovrani al proprio livello. Ed era comprensibile se teniamo conto che erano a capo di un regno che esisteva da oltre 1500 anni. Un primato che nessun altro re poteva vantare. Anzi, che forse nessun’altro può vantare in assoluto! Nonostante ciò, il re assiro Ashur-Uballit, non si sente molto a disagio a chiamarlo: “grande re, re d’Egitto, mio fratello”. Del resto la potenza assira era destinata a prendere presto il posto di maggior rilievo in medio oriente, almeno fino a quando la rinascita neobabilonese non l’avrebbe tolta di mezzo. Purtroppo il periodo di regno in cui visse Akhenaton non fu particolarmente tranquillo proprio nella regione siro-palestinese e la debolezza di questo sovrano, forse troppo preoccupato a servire il suo dio sole, non servì alla causa dell’Egitto. Egli infatti gestì almeno maldestramente i conflitti della regione. Ma qui l’esame della corrispondenza diventa controverso.
Infatti, se da una parte accettiamo la datazione tradizionale del regno di Akhenaton, si leggerà la corrispondenza con certi presupposti. Le lettere spavalde a volte, politicamente ossequianti altre volte di Labaya o Labayu, altro non sarebbero che la corrispondenza di un re non meglio identificato, del quale non si riesce nemmeno ad evincere bene di cosa o chi fosse re. Egli scrisse a Faraone utilizzando un linguaggio molto formale e riverente, che vale la pena riportare: “Al re, mio signore e mio dio e sole, così parla Labayu, il tuo servo, la polvere sotto i tuoi piedi. Ai piedi del re, mio signore e mio dio e sole, sette volte sette mi prostro”. Eppure quanti guai gli creò e quanta polvere gli sollevò da sotto i piedi fino a sotto il naso questo re per il quale altri re vassalli ebbero a scrivere al Faraone, lamentandosi, chiedendo il suo intervento e giudizio.
Questo Labaya crea problemi fino ai giorni nostri. Infatti, se la traduzione del suo nome è “leone di Yahweh” crea più guai da morto che da vivo, almeno alle datazioni storiche tradizionali, dell’antico Egitto e dell’antico regno di Israele. Yahweh è la pronuncia più probabile del tetragramma YHWH che troviamo nell’Antico Testamento. È il nome rivelato a Mosè da Dio stesso. Ma, secondo la datazione tradizionale, l’esodo e Mosè risalgono al periodo del Faraone Ramesse II. Questi, sempre nella datazione tradizionale, regnò fra il 1279 ed il 1212 a.C.: circa 100 anni dopo la corrispondenza di Amarna! Com’era possibile che Yahweh fosse conosciuto ed adorato in Palestina già quasi 150 prima che il popolo di Israele vi si insediasse?
Come il faraone Akhenaton, Rohl è oggi l’eretico della situazione: con le sue teorie sconvolge il sistema storico di datazione tradizionale. Eppure forse è solo una questione di tempo. Perché come il mondo con il tempo si è convertito al monoteismo ed Akhenaton da folle visionario è oggi visto quasi come un eroe ed un precursore della fede nel Dio unico dei discendenti di Abramo, forse un giorno parleremo allo stesso modo di Rohl, quando anche il mondo accademico si renderà conto di quanto la sua new chronology sia la risposta alle difficoltà apparentemente irrisolvibili nelle cronologie classiche dell’antico Egitto comparate con i dati archeologici siro-palestinesi.
Diciamo comunque che la revisione della datazione operata da Rohl non è radicale. Sostanzialmente sposta di circa 250-300 in avanti la datazione tradizionale. Per la New Chronology, per portare un esempio concreto, Ramesse II avrebbe regnato fra il 943 e l’877 a.C., contro il 1279-1212 a.C. della datazione tradizionale. È particolarmente suggestiva la maniera in cui Rohl demolisce uno dei capisaldi della datazione tradizionale quando dimostra infondata l’identificazione del faraone biblico Sisac o Scishak, l’unico chiamato per nome nella Bibbia, con lo storico Sheshonq. Nel suo nuovo libro “Exodus – Myth or History?” supera persino le argomentazioni proposte in “Il Testamento Perduto”. Egli, con valide argomentazioni, archeologiche, linguistiche e storiche sostiene e convince quando afferma che lo Scishak biblico altri non era che proprio Ramesse II. Certo gli argomenti di Rohl fanno un po’ paura e sono scomode a chi per anni ha insegnato e scritto il contrario: è comprensibile.
Rohl ribalta il comune giudizio degli storici sull’attendibilità della narrazione biblica dell’Esodo, con la New Chronology la fuga di Israele dall’Egitto avviene nell’anno 1450 a.C. circa. Se la datazione biblica dell’esodo è attendibile e lo è anche quant’altro leggiamo nei resoconti storici della Bibbia, Akhenaton sarebbe stato contemporaneo di Saul, il primo re della monarchia di Israele. Torniamo all’inizio dei nostri dubbi. E se il Labaya, il leone di Yahweh, altri non fosse che il biblico Saul? Ma è possibile? Perché il Saul biblico dovrebbe diventare Labaya nella corrispondenza di Amarna? Saul in realtà è un nome con un significato ben preciso: “richiesto”. Quindi non è difficile ipotizzare, come il biblico Pietro o Cefa era in realtà l’uomo di nome Simone, o Paolo in realtà si chiamasse Saulo, Marco Giovanni, Matteo era in realtà Levi, o lo stesso Giacobbe viene ricordato come Israele, che il nome biblico di Saul, passato alla storia con questo nome come il re “richiesto” dal popolo di Israele, si riferisse all’altrimenti noto come Labaya. A sostegno di questa identificazione, Rohl sostiene la perfetta concordanza fra gli eventi riportati nella corrispondenza di Amarna che riguardano Labaya e quelli del Saul biblico del libro del profeta Samuele. Del resto, nel testo delle tavolette di Amarna vengono anche riconosciuti alcuni degli altri protagonisti dei primi passi della monarchia israelita: Davide, Iesse, suo padre, Mutbaal, figlio di Saul, Ioab, generale di Davide.
Le conclusioni innovative, eppure paradossalmente, allo stesso tempo, tanto tradizionali di Rohl sono ovviamente contestate – sebbene con sempre meno convinzione – da chi ha paura di rivedere i testi di storia “ortodossi” scritti fino ad oggi ed è comunque legittimamente impegnato a difendere se stesso e le proprie credenziali, basate su studi e datazioni tradizionali. Forse il nostro nuovo eretico, David Rohl, finirà un giorno per affiancare il faraone eretico e diventare solo un affascinante precursore di credenze ormai affermate, e le sue teorie, come il monoteismo di Akhenaton, parte della nuova ortodossia.
5. RAPPORTI TRA ISRAELE ED EGITTO NEL II MILLENNIO A.C.
a) Premessa.
Per capire la formazione del monoteismo del popolo ebraico è necessario ripercorrere in primis la storia del popolo ebraico stesso. Questa storia dovrebbe essere narrata nel libro dei libri, la Bibbia, o almeno così si credeva fino agli inizi del XX secolo. Dal II dopoguerra, come reazione di ambienti intellettuali ai totalitarismi, interpretati da tali ambienti come espressione politica dell’irrazionalismo, si giunse a un iper-razionalismo che negava qualsivoglia valore di verità, non solo religiosa, di verbo rivelato, ma persino storica alla Bibbia. Questo stesso movimento di pensiero portò a una necessaria critica del cosiddetto “comparatismo selvaggio”, tipico di antropologi come James Frazer o Laurence Austin Waddell , che prevedeva talvolta improbabili analogie e, ancor più, derivazioni, in una prospettiva evoluzionistica per cui una cultura o una forma religiosa dovesse derivare da un’altra più primitiva, escludendo così un ben più credibile intreccio di prestiti orizzontali. Reazione ne fu la negazione di qual si voglia possibilità di comparare. Ogni cultura diveniva così un’isola nell’oceano. La Bibbia, dal canto sua, parallelamente diveniva opera di fiction o racconto morale per i credenti. Le scienze umane furono sottoposte fortunatamente a una grande revisione per esempio con la teorizzazione della nuova etnologia di Johannes Fabian, che sviluppa una critica del tempo antropologico, che porta seco un pregiudizio eurocentrico. La percezione della cultura altra era in precedenza di una società “primitiva”, “aborigena” (ab origine), “selvaggia”, posta concettualmente prima rispetto a quella dell’analista bianco, occidentale, cristiano in una prospettiva che ne è l’emblema dell’assolutamente altro, l’alieno, osservato diacronicamente nonostante l’effettiva sincronicità da un punto di vista del tempo oggettivo. Sarebbe opportuno che andasse allargata la presente critica della diacronia pregiudiziale anche alle culture oggettivamente diacroniche rispetto all’osservatore, travolgendo un pregiudizio altrettanto eurocentrico quale è quello del positivismo, che pecca di soggettivismo tanto quanto il letteralismo biblico. È cioè d’uopo analizzare il mito senza prenderlo “alla lettera” da un lato, ma senza nemmeno negare in toto alla cultura studiata e alla sua espressione orale o scritta il diritto alla formulazione veritiera, in potenza, come invece si tende a fare negli ultimi decenni, diritto che viene calpestato in virtù del mero pregiudizio di superiorità soggettiva dettata dalla diacronia oggettiva. Plaudo comunque al superamento negli ultimi anni dell’impossibilità comparativa che ha regnato per troppi anni, sempre restando giustamente fermo il rigetto per il c.d. “comparatismo selvaggio”, ma aprendo alla possibilità di comparare culture ed elementi temporalmente e geograficamente prossimi, o comunque entrati in contatto.
b) Abramo e l’Egitto.
Era necessaria tale premessa metodologica prima di esporre ora un sunto su una teoria sul popolo del monoteismo, i figli di Israele. Pare che il gruppo tribale di Abramo, a causa di una carestia, si sia spinto fino all’Egitto, dove si erano via, via insediati sempre più elementi semitici occidentali. È in questa cospicua ondata migratoria – non una vera e propria invasione, a differenza di quanto dice, dal suo punto di vista egittocentrico, lo storiografo ellenistico e sacerdote sebennita Manetone – che deve collocarsi l’entrata in Egitto di Abramo e dei suoi discendenti alcuni anni più tardi, come Giuseppe, poi i suoi fratelli e suo padre Giacobbe. In un apocrifo dell’Antico Testamento, Qeturah, moglie di Abramo, è indicata come figlia del Re del Deserto. Una tradizione dei Midrašim riferisce che Qeturah era figlia di un faraone.
Giungiamo così agli Hyksos, grecizzazione dell’egiziano heqa aswt ḫ, “capi delle terre desertiche straniere”, i quali erano faraoni (XV e XVI dinastia). Abramo era un principe, secondo il modo in cui lo appellano i principi ittiti a Ebron e regnò secondo il testo sacro etiope, così come suo figlio Isacco e Giacobbe figlio di Isacco. Sembrerebbe quindi che questo principe semita fosse un Piccolo Hyksos, cioè un faraone vassallo, che abbia sposato la figlia di un Grande Hyksos, presumibilmente il primo, Šalek, Salatis o Silites . Abramo potrebbe coincidere con il faraone Hyksos Maaybra Šeši. Isacco è un nome che originariamente si presentava come Yišaq-El. Dopo Maaybra Šeši si trova Sakal-Hel, che potrebbe corrispondere a Isacco(-El), tanto più che il figlio e successore di Isacco era Giacobbe, anche questo in origine un teoforo (cioè un nome contenente quello di un dio), Yakov-El. E dopo Sakal-Hel venne proprio Merwserra Yakob-Hel. La coincidenza è davvero significativa. Giacobbe-Israele, eponimo degli Israeliti, ebbe dodici figli e una figlia, secondo la Bibbia. Il fatto che anche Ismaele, figlio di Abramo e di Hagar, abbia avuto dodici figli, eponimi delle dodici tribù degli Ismaeliti, rende poco credibile questa affermazione.
c) Giuseppe e l’Egitto.
Il primogenito di Giacobbe, a causa del proprio peccato, perse la primogenitura, che andò a Giuseppe, visir del faraone. Secondo una fonte, Giuseppe fu visir del faraone Hyksos chiamato nelle epitomi di Manetone Aphophis o Aphobis. Questo sovrano è attestato come l’heqa aswt ḫ Apopi. Secondo un apocrifo dell’Antico Testamento, intitolato Giuseppe e Aseneth, alla morte di questo faraone, lo stesso Giuseppe, già visir, divenne faraone.
Alla morte di Giuseppe, salì al trono – evidentemente del solo Basso Egitto, l’Egitto settentrionale, dato che al tempo degli Hyksos il Paese del Nilo era diviso in due Stati indipendenti – il figlio del faraone precedente a Giuseppe e per il quale il Patriarca biblico era stato primo ministro, visir appunto. Effettivamente la guerra per l’espulsione degli Hyksos dall’Egitto da parte dei principi tebani iniziò sotto la XVII dinastia con la lotta di Seqenenra Tao contro Apopi. A Seqenenra Tao successe il fratello o figlio Kamose, che continuò la guerra, e a questi Ahmose, figlio di Seqenenra Tao. Dal Canone reale di Torino, un elenco di età ramesside dei re d’Egitto, si apprende che i Grandi Hyksos della XV dinastia furono sei. Purtroppo soltanto il nome dell’ultimo di questi è ancora leggibile, e ci appare come Khamudi. Ahmose concluse dunque la guerra, da vincitore, contro Khamudi. Pertanto Apopi deve essere stato il suo predecessore e figlio. L’apocrifo dell’Antico Testamento menzionato afferma chiaramente che Giuseppe fu posto sul trono perché il figlio del precedente faraone era troppo giovane. È plausibile quindi che Giuseppe, faraone della XVI dinastia dei Piccoli Hyksos, che fungevano da vassalli per i Grandi, non sia menzionato nel Canone reale. Apopi sarebbe dunque il sovrano sotto il quale Giuseppe avrebbe servito da vizir, mentre Khamudi il giovane successore di Giuseppe, nonché figlio di Apopi.
d) Nascita di Israele e vicende egiziane.
La tradizione ebraica infatti ricorda una precedente uscita di Israeliti dall’Egitto, precedente all’Esodo di Mosè, durante la quale la tribù di Ephraim, figlio di Giuseppe, uscì dalla terra del Delta del Nilo e si insediò in Canaan. Questo episodio cronologicamente e geograficamente combacia perfettamente con l’espulsione degli Hyksos dall’Egitto sotto Ahmose, che conquistò la loro capitale, Avaris, oggi Tell el-Dab’a, nel nord del Paese. Gli Hyksos si rifugiarono così a Šaruhen, vicino all’odiena Gaza, dove furono cinti d’assedio dagli Egizi per tre anni, alla fine dei quali l’esercito del faraone deportò alcuni di loro come schiavi. Lo si conosce grazie alle autobiografie tombali di due ufficiali dell’esercito faraonico di nome – entrambi – Ahmose, lo stesso nome del sovrano stesso. Secondo Manetone, gli Hyksos superstiti andarono a fondare Gerusalemme, futura capitale del regno di Giuda. Da un testo egizio che parla della genesi del conflitto tra Seqenenra Tao, faraone della XVII dinastia tebana, e Apopi, apprendiamo che gli Hyksos adoravano sopra tutti un solo dio. Erano cioè enoteisti, una “via intermedia” tra politeismo e monolatria. Il loro dio principale era la divinità più importante dei Cananei e dei Fenici, Baal, corrispondente al mesopotamico Bel, che significa “signore”. In Egitto essi identificarono questo con Seth, in accadico Swtekh. Altre deità adorate dagli Hyksos erano Ra, Amon-Ra, Astarte, Anath, El/Hel, Reshef e Teshup/Teshub. A queste se Giuseppe fosse stato un Piccolo Hyksos e poi un Grande Hyksos, si aggiungerebbe Iah, dato che il suo nome “Yohseph” potrebbe racchiudere i nomi di due dèi egizi: “Ioh” o “Iah”, dio della Luna, e “Seph”, variante di Seth attestata anche in Manetone. Ciò farebbe del dio degli Israeliti il dio della Luna, chiamato ora con la parola egiziana per Luna, “Iah”. Infatti, come si è detto in precedenza, Abramo visse proprio nelle uniche due città mesopotamiche dedite al culto, sopra tutti gli altri, della Luna, Nanna a Ur e l’equivalente accadico Sin a Kharran.
Disgregata l’entità territoriale-amministrativa Hyksos, gli Israeliti si costituirono in una varietà di tribù di pastori semi-nomadi dediti alla transumanza, di mercenari e di bande forse dedite a razziare. Sono attestati infatti in questo periodo e fino all’epoca di Amarna, gruppi di mercenari e briganti chiamati Hapirw o Habirw, nella terra di Canaan. La radice è la stessa di Ebrei o Abarim, dall’eponimo Hever, antenato di Abramo, tramite suo padre Terah.
Nel frattempo l’Egitto giungeva, con la XVIII dinastia inaugurata da Ahmose, all’apogeo del suo splendore e della sua gloria, con i sovrani Thutmosidi che si spinsero addirittura a conquistare la Mesopotamia. Si ha qui la massima espansione territoriale dell’impero egizio. Ad Ahmose successe il figlio Amenhotep I, a cui successero, nell’ordine Thutmose I, Thutmose II, Hatshepsut, Thutmose III, Amenhotep II, Thutmose IV e Nebmaatra Amenhotep III. Questi sposò Tiy, la Gran Sposa Reale, figlia di Yuya e di Tuta. Dalla coppia nacquero vari figli, tra cui Satamon, la primogenita, Thutmose, il principe ereditario, e Amenhotep IV. Thutmose morì prima del padre e quindi non giunse mai al trono. Gli successe invece il fratello minore Amenhotep IV, che, al quarto anno di regno (vi furono alcuni anni di coreggenza, in numero tuttora dibattuto), mutò il proprio nome in Akhenaton e fondò, nel quinto anno, una nuova capitale, Akhetaton, “l’orizzonte di Aton”, nel deserto, nel sito moderno di Tell el-Amarna, o, semplicemente, Amarna.
Akhenaton abbandonò il culto degli altri dèi all’infuori di Aton, l’Unico Dio, cancellò molti riferimenti al nome di Amon, il più importante dio del pantheon egizio, la cui città dedicata era proprio la capitale Waset, chiamata Tebe dai Greci. Sposò una principessa mittanica, una babilonese, Kiya, la Gran Sposa Reale Neferneferwaton Nefertjjtj (Nefertiti) e una sua sorella, figlia di Amenhotep III e di Tiy. Da Nefertiti ebbe sei figlie, Merytaton, Maketaton, Ankhesenpaaton, Neferneferwaton tasherit, Neferneferwra e Setepenra. Da Kiya ebbe Kiya tasherit. Da una sua sorella ebbe Tutankhaton. Sposò inoltre la primogenita e la terzogenita, le uniche sue figlie che non morirono in giovane età, Merytaton e Ankhesenpaaton, le quali gli generarono rispettivamente Merytaton tasherit e Ankhesenpaaton tasherit. Merytaton andò in seguito in sposa al successore di Akhenaton, Smenkhkara.
L’Inno ad Aton, scritto sulle pareti della tomba inutilizzata del visir Ay ad Akhetaton, appare, per le moltissime similitudini, la versione da cui il Salmista attinse per scrivere il centoquattresimo Salmo biblico. L’egittologo Arthur Edward Pearse Brome Weigall , il padre della psicanalisi Sigismund Schlomo Freud , l’egittologo prof. Jan Assmann dell’Università di Costanza e molti altri hanno sottolineato le numerose analogie tra la religione di Mosè e quella di Akhenaton, adoratore di Adonay l’uno, di Aton l’altro. Akhenaton regnò per diciassette anni, concentrò la sua attività sulla politica interna, sulla religione, l’edilizia e la riforma dello stile artistico, ora impregnato di un forte realismo combinato con i significati simbolici della nuova religione che si volevano veicolare.
Per quanto concerne la politica estera, essa prestò il fianco alle incursioni di semi-nomadi Šasu e Hapirw nei domini siro-palestinesi formalmente sottoposti all’Egitto. Represse invece una rivolta in Nubia, anch’essa territorio conquistato dai faraoni dal tempo di Ahmose, nel dodicesimo anno di regno, incaricando dell’operazione di polizia il viceré di Nubia, Thutmose. La sua rivoluzione religiosa durò tredici anni, dal quarto al diciassettesimo. Non sono ancora note le cause della morte. Il suo corpo fu sepolto ad Akhetaton e poi tradotto a Tebe, nella Valle dei Re, esattamente nella tomba KV55, ove KV sta per Valley of the Kings. Potrebbe essere morto per l’epidemia di peste e di influenza suina che mieterono molte vittime ad Amarna e presumibilmente anche nella famiglia reale, considerando le numerose morti negli ultimi anni di regno di Akhenaton, che comprendono Tiy, la regina madre, Kiya, Maketaton, Neferneferwaton tasherit, Neferneferwra e Setepenra, e forse anche la bella Nefertiti, ancora viva nel sedicesimo anno di regno del marito, ma forse deceduta nel diciassettesimo e ultimo. Pare, secondo gli egittologi Nicholas Reeves e Zahi Hawass, che Nefertiti stessa abbia regnato con il marito come faraone correggente .
Mosè, secondo Manetone, fu un sacerdote egizio del culto del Sole in Egitto per un periodo di tredici anni sotto il regno di un faraone di nome Amenofi, prima di abbandonare con i suoi correligionari, di cui molti lebbrosi, la terra natia per recarsi nella terra di Canaan. Secondo le Antichità giudaiche di Flavio Giuseppe, Mosè fu incaricato dal faraone di reprimere una rivolta in Nubia e ottenne il governo della stessa. Qualche anno dopo questo fatto morì il faraone che lo aveva incaricato dell’operazione di polizia contro i Nubiani e salì al trono il suo successore. Mosè si scontrò con il nuovo faraone e vi furono, secondo le tradizioni ebraiche, mesi di trattative, dopo i quali Mosè e i suoi correligionari uscirono dall’Egitto verso Canaan. Secondo la tradizione islamica, il faraone morì inseguendoli, quindi deve aver regnato per qualcosa come un anno e mezzo, due.
La rivoluzione atoniana durò proprio tredici anni sotto Akhenaton e comportò il culto del dio del Sole Aton, il disco solare. Akhenaton, come già detto, fece sedare un’insurrezione nubiana, nell’odierno Sudan, a un uomo di nome Thutmose, il cui diminutivo era Mose, nome egiziano e non ebraico. Mose è attestato in vari testi egiziani. Questo fatto si ebbe nel dodicesimo anno di Akhenaton. Dopo cinque anni egli morì, e gli successe Smenkhkara, che nel nome non ha riferimenti ad Aton, il che potrebbe suggerire un primo tentativo di tornare verso posizioni meno radicali o addirittura più vicine al culto di Amon-Ra di Tebe.
Quello di Smenkhkara fu un periodo di transizione durato un anno e mezzo, due, dopo il quale evidentemente Smenkhkara morì, e gli successe Tutankhaton, figlio di Akhenaton e di una sorella del padre (anch’ella figlia di Amenhotep III e di Tiy), che ripristinò il culto di Amon, come attestato dalla Stele della restaurazione, e cambiò il suo nome da Tutankhaton a Tutankhamon. Parimenti la sua Gran Sposa Reale Ankhesenpaaton, figlia di Akhenaton e di Nefertiti, cambiò nome in Akhesenamon. Prima di sposare il suo fratellastro pare avesse sposato il padre. Tutankhamon e Ankhesenamon non ebbero eredi. Morto Tutankhamon a diciannove anni per una frattura al ginocchio, complicata dalle tare ereditarie causate dai numerosi incesti della XVIII dinastia, successe al faraone bambino, sepolto nella KV62, il vizir Ay, che pare abbia preliminarmente sposato la vedova Akhesenamon. Ay era forse nonno e probabilmente prozio di Ankhesenamon, perché molti egittologi lo ritengono figlio di Yuya e di Tuya, fratello di Tiy e padre di Nefertiti. Già anziano, morì dopo appena quattro anni di regno. Gli successe il generale Horemheb, capo dell’esercito sotto Tutankhamon. Horemheb sposò Mutnodjemet, presumibilmente figlia di Ay avuta da una moglie precedente la sua probabile Gran Sposa Reale, nipote e pro-nipote Ankhesenamon. La durata del suo regno è ancora dibattuta.
Con lui si estingue la XVIII dinastia, che, dal punto di vista dei vincoli di sangue, si era già estinta con Tutankhamon. A succedergli il designato generale del Delta nilotico Pramesse, poi Ramesse I, fondatore della XIX dinastia, senza alcun legame con la casa reale. Già anziano, morì dopo un solo anno di regno, lasciando il trono a Sethi I. Con lui si ebbe finalmente una situazione di stabilità, e il suo figlio e successore, il celebre e glorioso Ramesse II regnò per più di sessant’anni di regno. Con i successivi Merenptah e Ramesse III fu l’ultimo grande faraone dell’antico Egitto. Tornando a Mosè, si è detto che, secondo quanto riferito da Manetone, egli visse come sacerdote del Sole in Egitto per un periodo di tredici anni. Il riferimento ai tredici anni di supremazia del culto del disco solare Aton sotto Akhenaton sono evidenti. Il faraone che regnò durante questo periodo si chiamava Amenofi, secondo Manetone. Amenofi, Amenophis in greco, è l’ellenizzazione del nome Amenhotep, portato da quattro sovrani della XVIII dinastia.
Per comprendere di quale si tratta è necessario incrociare i dati forniti da Flavio Giuseppe, secondo cui tale faraone combatté contro i Nubiani, e quelli forniti da Manetone, secondo cui gli Hyksos, espulsi due secoli prima, attaccarono i domini nord-orientali dell’Egitto. Dei quattro Amenhotep, il I, figlio di Ahmose, il II, figlio di Thutmose III, il III, figlio di Thutmose IV, e il IV, che cambiò nome in Akhenaton, figlio di Amenhotep III, soltanto uno si scontrò sia contro i Nubiani che contro gli Asiatici, e questi fu proprio Amenhotep IV/Akhenaton. Nelle lettere di Amarna infatti si sono trovate epistole dei vassalli di Akhenaton che chiedevano aiuto al sovrano contro le incursioni degli Hapirw. Mosè pertanto deve essere vissuto sotto Akhenaton. E deve essere identificato con il Thutmose che, al pari del Mosè di Flavio Giuseppe, represse una rivolta in Nubia e governò questa zona. Dopo qualche anno, il tempo di generare due figli, Gershom ed Eliezer, Mosè seppe che il faraone, quindi Akhenaton, era morto. Si scontrò con il suo successore, Smenkhkara, il quale morì inseguendo i correligionari egizi di Mosè e gli Asiatici/Hyksos/Israeliti che si erano uniti a lui, forse come mercenari, morendo secondo la tradizione islamica in quello che la Bibbia chiama Yam Suph, che va tradotto letteralmente come “mare di giunchi”, una zona paludosa, e non come Mar Rosso. Il fatto che si fosse in una zona di stagni è suggerita anche dal fatto che, sempre secondo la tradizione islamica, il re dell’Egitto morì con della terra in bocca, fatto probabile in una zona paludosa, ma non in mare aperto.
Altri elementi che fanno propendere per questa ipotesi sono la frequenza di nomi egizi nelle tribù a capo degli Israeliti, vale a dire quella di Levi e quella di Giuda. Nomi come Mosè (il nome egizio Mose), Osarseph (altro nome di Mosè secondo Manetone, il quale specifica che viene da Osiride – va aggiunto che la parte finale -seph è una variante di Seth), Miriam (forse dall’egizio Merytamon, “amata da Amon”: la -t- più tardi in egiziano cadde e pare non si pronunciasse ma servisse solo come desinenza femminile singolare), Merari (Meryra II, “amato da Ra” era un funzionario di Akhenaton), Hur (cfr. il nome del dio egizio Horo), Mered (cfr. Miled, marito di una principessa egizia secondo le cronache irlandesi che fanno riferimento all’Esodo di Mosè), Aronne (in ebraico standard Ahàron, in ebraico tiberiense Ahărōn, ʾ forse da Har, variante di Horo, e -on, associato alla luce solare, nome della città di Eliopoli, dedica al culto del Sole), Amminadab o Aminadab (cfr. Amenhotep, da nome del dio Ammon o Amon), Eliezer ed Eleazar (nomi portati da un figlio di Mosè e da uno di Aronne, forse da El, “dio” in ebraico + Asar, variante di Osiride, attestato, come Àsar anche come padre di Abramo nel Corano, a differenza del Terah del Libro della Genesi), Adonay, “mio signore/Adon” (accostato da S. Freud ad Aton) , ecc.
e) La religione israelitica: una religione contro.
Sia l’atonismo che l’ebraismo nascono già come contro-religioni, in contrapposizione, cioè, ad altri culti precedenti, in particolare quello dell’ariete Amon. Nel Libro dell’Esodo si trova il sacrificio degli agnelli, in evidente sfregio ad Amon. Altro animale sacrificale ebraico era il toro, anch’esso sacro a un dio egizio, Hapi. Aronne e altri Israeliti, uccisi dai Leviti di Mosè (Aronne fu risparmiato) si costruirono un simulacro aureo di un vitello, il famoso “vitello d’oro”, palese effige di Hapi. Ancora secoli dopo, secondo la Bibbia, i re di Israele si costruivano vitelli d’oro da venerare. Inoltre sia Aton che Adonay erano un “Unico Dio”, ma in entrambi i casi non si può parlare di un vero e proprio monoteismo, dato che in Aton confluirono aspetti di altri dèi come Šw o Ra, presente per es. nel praenomen dello stesso Akhenaton, “Waenra”, “l’unico di Ra”, oltre che in quello delle sue ultime due figlie avute dalla Grande Sposa Reale, Neferneferwra, “bella tra le belle di Ra” e Setepenra, “scelta da Ra”. Lo stesso si può affermare per l’ebraismo, in cui confluirono una pluralità di divinità o di tratti delle stesse nell’Unico Dio dell’ebraismo e poi del giudaismo o quanto meno in suoi epiteti, caratteristiche, miti, ecc.
Nelle versioni mesopotamiche della storia del Diluvio Universale per es., c’è un dio che manda la calamità e uno che salva un uomo con la sua famiglia, vale a dire Enlil, che manda il Diluvio, ed Enki che salva l’uomo. Nella stessa Bibbia si parla dell’adorazione da parte degli Ebrei – non solo di alcune singole persone, ma da parte delle massime autorità dei regni di Giuda, a sud, e di Israele, a nord – di altre deità: Salomone, re di Giuda e Israele secondo la Bibbia (ma ci sono forti dubbi che i due regni siano veramente mai stati uniti ) fa costruire un altare ad Astarte, i re di Israele adorano vitelli d’oro, Ezechia, re di Giuda, vieta il culto di Baal e i pali sacri di Astarte, usanze evidentemente ben radicate, suo figlio e successore Manasse erige invece altari a Baal, costruisce altari per la religione babilonese in due cortili del Tempio di Gerusalemme, sacrifica alcuni dei suoi figli facendogli passare attraverso il fuoco, pratica la magia, ricorre alla divinazione e promuove lo spiritismo, suo padre Ezechia, re di Giuda, ecc..
Tutti questi aspetti sono confermati dall’archeologia e dall’epigrafia: sono infatti state rinvenute iscrizioni riguardanti Yahweh posto in una triade divina con El (che poi diventerà un altro nome dell’Unico Dio biblico) e Baal, il sommo dio degli Hyksos, e dedicate a Yahweh e alla «sua Ašerah», cioè a sua moglie Astarte. El, altro nome del Dio ebraico, era marito di Astarte e padre di Baal e di Anat per i Cananei. Gli Hyksos, oltre a Baal, come già accennato, adoravano anche Astarte e Anat. In un testo ugaritico Baal viene chiamato «Cavaliere delle nubi», lo stesso identico epiteto riferito a Yahweh nel Libro dei Salmi, attribuito a re Davide di Giuda e Israele. L’elenco potrebbe continuare per molto. Io ritengo che i primi capitoli della Genesi siano tratti dall’Enûma Elîš, dalla storia di Adâpa e Khâwâh mesopotamici e dall’Epopea di Gilgameš, in cui al posto di «YHWH» ci sono Enki (“signore della Terra”), Enlil (“signore del vento”) e Nîn-khursag (“signora delle colline”). Ma ritengo che questa fonte mesopotamica sia più tarda delle tradizioni orali, egizie le più antiche e cananee le meno antiche, e che vi si abbia attinto dalla Biblioteca di Babilonia durante l’Esilio.
Dunque è possibile che le origini della religiosità ebraica siano sì da ricercarsi in Mesopotamia, comunque, ma non per i miti dell’inizio del Libro della Genesi, che coincidono troppo con quelli mesopotamici (anche per dettagli numerici, i dieci prima del Diluvio, o il corvo e la colomba inviati dall’Arca, ecc.) per essersi tramandati oralmente dal tempo di Abramo. Molto più probabile che siano divenuti accessibili con le deportazioni in Mesopotamia di Israeliti e Giudaiti alla metà del I millennio a.C., pur essendo Abramo esistito realmente come adoratore del dio della Luna Nanna/Sin.
In ogni caso pare che l’Unico Dio sia il risultato di un articolato processo di teocrasia riguardante diverse divinità: Enki, Enlil (dei quali già si è detto in relazione alla versione del Diluvio da cui gli scribi ebrei probabilmente attinsero durante la cosiddetta Cattività Babilonese), Saturno, Yurba (dèi, di cui il primo del Sole, adorati da Abramo secondo i Mandei), Baal, Seth, Iah, Nanna, Sin, Aton, Adon, Adonay, El e Yahweh. El/Yahweh per la religione della terra di Canaan era inserito in un contesto familiare, con moglie (Astarte) e figli, un maschio e una femmina (Baal e Anat).
A rafforzare il nesso con il culto solare di Aton, vi sono tracce di un culto di un dio solare precedente alla redazione finale del Tanakh, la Bibbia ebraica, “declassato” a eroe nazionale. Si tratta di Sansone, il cui nome in ebraico significa “piccolo Sole” (Šimšon). Egli traeva la forza dai suoi capelli, il che ricorda il potere dei raggi, i “capelli” del Sole, una leggenda che giungerà fino a quella dei Merovingi, i Re Taumaturghi, che avrebbero tratto i loro poteri sovrannaturali dai capelli, che non tagliavano mai. Infine, Sansone nacque a Beth-Šemeš, che in ebraico significa proprio “dimora del Sole”. Il dio accadico del Sole si chiamava Šamaš, Utu in sumerico, ed era figlio di Nanna/Sin. Se questa ricostruzione, ossia l’identificazione fra Patriarchi e Hyksos e il “primo Esodo”, quello della tribù di Ephraim, e il contesto dell’Esodo di Mosè verso la fine della XVIII dinastia e gli intensi legami tra atonismo e monoteismo mosaico sono provati, è necessario andare oltre la Bibbia, come intitola l’opera in punto del prof. Mario Liverani , analizzando la narrazione del Tanakh (Torah, profeti, salmi, libri di saggezza e annali detti storici, veterotestamentari), andando oltre il libro stesso, cercando un nucleo storico che può avere dato nome, per esempio, al secondo libro della Bibbia.
Occorre prendere da un lato la Bibbia e capire che cosa di questa, per quanto concerne il II millennio a.C. in particolare, epoca più ardua da analizzare – per il I millennio i dati certi sono molti di più –, abbia a che fare con la Storia e che cosa con una ricostruzione teologica . Andare oltre la Bibbia dunque significa approcciarsi a essa, penetrarne il testo, sottoporla a un approccio filologico, verificarne o falsificarne le affermazioni.
Si tratta dunque di un’opera di comparazione tra il mito biblico e il contesto storico e archeologico del Vicino Oriente antico in senso esteso, ciò che gli studiosi angloamericani esprimono una bella espressione che è quella di Greater Mesopotamia. Come è tendenza negli ultimi anni, da parte degli accademici, studiosi del Vicino Oriente, che sia impossibile comprendere la storia, la metodologia o la cronologia di una cultura senza confrontarla con quelle vicine. Questo ci permette di capire quando è avvenuto un evento, come si fa normalmente per il millennio successivo, per esempio nel caso della presa, da parte degli Assiri, di Lakiš, la più grande fortezza della Giudea di I sec., oggetto di scavo archeologico dal 1973 fino al 1994 da parte di David Ussishkin . Senza i riferimenti epigrafici assiri che l’archeologia ci ha restituito sarebbe stato impossibile collocare questo evento biblico cronologicamente. Ecco dunque come sia fondamentale studiare la narrazione religiosa ebraica con un approccio comparativista che permetta di capire se, dietro alla narrazione biblica, vi sia parzialmente un nucleo storico, a cui si sovrappongano valori, ideologia di altre epoche, e perché. Un esempio ne è l’Esodo, ritenuto il ricordo di più eventi verificatisi nel II millennio, di cui in particolare la genesi della citata contro-religione mosaica , come la definisce l’egittologo prof. Jan Assmann, la quale si oppone, come l’atonismo, a ciò che considera l’idolatria cananea (ma non solo), nel primo caso, ed egizia nel secondo, racconto che però è altresì carico del sentimento di quanti vissero il ritorno in Giudea dopo la Cattività Babilonese.
In conclusione, dal momento che buona parte della Siria-Palestina nel II millennio era spesso sottoposta all’influenza egizia, è al fertile “vicino di casa” nilotico che si è ritenuto di guardare con maggior attenzione per tentare il percorso di comparazione tra storia, archeologica ed epigrafia, da un lato, e mito e religione, dall’altro.
6. IL CONFLITTO CIRCA L’ESCLUSIVITÀ DI YHWH.
L’esclusività può essere unilaterale o bilaterale. Essa è unilaterale se YHWH è il dio esclusivo di Israele, ma Israele adora contemporaneamente anche altri dei. Ma l’esclusività si può anche basare sulla reciprocità: in questo caso non solo YHWH è il dio d’Israele (e di nessun altro popolo), ma anche Israele adora esclusivamente YHWH e nessun altro dio all’infuori di lui.
a) Il legame esclusivo di YHWH con Israele.
Dapprima si sviluppò un legame esclusivo di YHWH con Israele. Questo legame non è innato nel popolo israelita; esistono chiaramente indizi, come abbiamo visto, che YHWH è diventato il dio d’Israele nel corso di un processo storico.
Il primo indizio è il nome stesso di Israele: esso contiene l’elemento teoforico “El”. Il gruppo di tribù indicato con il nome “Ysrael”, quindi, originariamente si era riunito nell’adorazione di una comune divinità “El”. Non a caso El viene chiamato in Gen 33,20 “Dio d’Israele”: “Poi là eresse un altare e lo chiamò El-Elohey-Israel” (וַיַּצֶּב־שָׁ֖ם מִזְבֵּ֑חַ וַיִּ֨קְרָא־ל֔וֹ אֵ֖ל אֱלֹהֵ֥י יִשְׂרָאֵֽל). Ci deve essere stato un gruppo di tribù “Ysrael” che soltanto in un secondo momento è venuto a confessare la fede in YHWH .
Il secondo indizio è dato dal fatto che accanto al gruppo tribale “Ysrael” esistevano altri gruppi di adoratori di YHWH. Fra questi rientrano i madianiti. Il suocero madianita di Mosè, in Es 18, compare come sacerdote di YHWH (וַיִּקַּ֞ח יִתְר֨וֹ חֹתֵ֥ן מֹשֶׁ֛ה עֹלָ֥ה וּזְבָחִ֖ים לֵֽאלֹהִ֑ים וַיָּבֹ֨א אַהֲרֹ֜ן וְכֹ֣ל ׀ זִקְנֵ֣י יִשְׂרָאֵ֗ל לֶאֱכָל־לֶ֛חֶם עִם־חֹתֵ֥ן מֹשֶׁ֖ה לִפְנֵ֥י הָאֱלֹהִֽים׃ Es. 18,12: “Poi Jethro, suocero di Mosè, prese un olocausto e dei sacrifici per offrirli a DIO; e Aaronne e tutti gli anziani d’Israele vennero a mangiare col suocero di Mosè davanti a DIO”).
Il terzo indizio è dato dal nome di YHWH che compare già in epoca preisraelitica in elenchi egiziani. Essi menzionano un “paese dei Shasu Seir” (beduini) accanto ad un “paese dei Shasu JHW” . Questo concorda con la localizzazione di YHWH sul Sinai: la sede originaria di YHWH non era la Palestina.
Quarto indizio: in un brano dell’AT risulta chiaro che YHWH, anche nella comprensione che Israele aveva di se stesso, non era legato esclusivamente a Israele. Amos lo collega con la preistoria dei popoli vicini, come con quella di Israele: “Non siete voi per me come i figli degli Etiopi, o figli d’Israele?», dice l’Eterno. «Non ho io fatto uscire Israele dal paese d’Egitto, i Filistei da Kaftor e i Siri da Kir?” (Am 9,7).
Come si giunse al legame esclusivo di YHWH con Israele? La concezione veterotestamentaria vede nell’esodo dall’Egitto il fondamentale atto di elezione di YHWH (cfr. Sal 114,1 e il Primo comandamento). In questo atto di elezione si fonda il legame esclusivo di YHWH con Israele. In effetti è probabile che gruppi fuggiti dall’Egitto abbiano portato in Palestina la fede di YHWH . Essi erano convinti che YHWH li avesse salvati dalla minaccia che rappresentava la potenza militare egiziana, tecnicamente molto superiore a loro.
Quando questi gruppi giunsero in Palestina, verso il 1200 a.C., la situazione era questa: il faraone Merneptah aveva appena devastato il paese, con una campagna militare. In una stele eretta verso il 1219 a.C. egli si vanta di una campagna militare di sterminio contro un popolo chiamato “Israele”: “Israele è rovinato, e non ha più sementi” (ossia discendenti) . È la rima volta che compare il nome Israele. La spedizione non è menzionata nell’AT. Può darsi che una catastrofe (ipotizzabile con buone basi) delle tribù di Lea, Ruben e Simeone risalga a questa campagna militare egizia .
Più importante è invece il fatto che i gruppi sfuggiti agli egiziani (al mare delle Canne o in Palestina) appartenessero sociologicamente alla categoria dei “Chabiru” (o “Hapirù, cioè ebrei?), oppure si fusero con essi. Si tratta di un gruppo ben documentato in tutto l’Oriente antico, un gruppo svantaggiato, senza terre o possedimenti, spesso costretto a lavori forzati (come gli ebrei in Egitto), o che conduceva una vita da predoni e fuorilegge, persone quindi “che non appartenevano all’ordine costituito, se ne separavano oppure ne venivano rigettate” . Probabilmente questi furono i fatti: coloro che erano fuggiti dall’Egitto e i sopravvissuti alla spedizione di Merneptah in Palestina, si unirono ad altri gruppi di diseredati. Avevano patito dei destini analoghi: esilio, sfruttamento, minaccia alla loro stessa esistenza. Misero in comune i loro ricordi e le loro tradizioni. El (il dio d’Israele) si fuse con YHWH, il dio del gruppo fuggito dall’Egitto, ma in modo tale che YHWH si impose. Infatti, solo lui poteva dare la speranza di sfuggire alla macchina militare dell’Egitto e di imporsi alla civiltà superiore delle città. Il legame di YHWH con il suo popolo si affermò quindi in una situazione di crisi e di catastrofe. YHWH era un dio degli scampati e dei fuggiaschi, che garantiva la sopravvivenza ad un gruppo disperatamente sconfitto.
Il lungo periodo di transizione tra l’occupazione delle “terre di Israele” e il loro consolidamento mediante la formazione di strutture statali – i circa due secoli dell’età dei Giudici, ha reso più profondo questo legame di YHWH con il gruppo tribale di “Israele”. Poiché mancavano istituzioni stabili di difesa, le tribù dipendevano maggiormente dalla mobilitazione ideologica contro i minacciosi ammoniti, madianiti e filistei. YHWH stesso doveva aiutarli contro la superiorità del nemico, inviando eroi carismatici. Dalla difesa contro i filistei, tecnicamente più avanzati, nacque la monarchia. Davide era un adoratore di YHWH. Il dio del paese e della nazione diventava il dio della casa reale, e il tempio di YHWH da lui progettato, e costruito poi da Salomone, era allo stesso tempo santuario privato e statale
b) Il legame esclusivo di Israele con YHWH .
Al legame esclusivo di YHWH con Israele non corrispondeva ancora alcun legame esclusivo di Israele con YHWH: l’esclusività reciproca era un’idea nuova, che nacque solamente durante la monarchia: nacque in un determinato contesto sociale, e precisamente come rivitalizzazione di valori tradizionali e di fronte alla trasformazione della società verso strutture sociali “moderne”, caratteristiche della cultura nettamente superiore delle città cananee. Si devono fare anche delle distinzioni fra gli sviluppi nel regno del Nord e in quello del Sud.
Il regno del Nord dovette incorporare in sé molte città-stato cananee, specialmente nella pianura di Meghiddo. Soprattutto per la sua posizione geografica, era molto più esposto all’influenza delle grandi città cananee costiere rispetto al regno di Giuda, più isolato. Nel regno del Nord, quindi, la classe dirigente mirava aduna politica religiosa di integrazione: il culto di YHWH e quello cananeo si combinavano in vario modo. YHWH e Baal venivano adorati contemporaneamente l’uno accanto all’altro. Contro questa prassi nasce un’opposizione jahwista. Il profeta di YHWH Elia pone per la prima volta, nel IX sec. a.C., l’alternativa “YHWH o Baal” (il Baal di Tiro, in questo caso). Al tempo stesso, egli combatte il dissolversi delle norme sociali tradizionali, sotto l’influenza cananea, come mostra il conflitto sulla vigna di Naboth. Entrambi i conflitti, quello religioso e quello sociale, sono strettamente collegati. Il passaggio della società dall’antica organizzazione tribale ad uno stato centralizzato, amministrato da autorità regie, viene rappresentato come il conflitto tra YHWH e Baal . I due grandi profeti del regno del Nord nel secolo VIII – Amos e Osea – portano avanti ciascuno un aspetto della vecchia opposizione jahwista contro la classe dominante: Amos formula una critica socile profetica, con una durezza che avrebbe avuto effetto anche nel tempo, mentre Osea flagella il culto dei “Baal”. Caratteristica di entrambi è l’opposizione alla classe dirigente: Amos viene cacciato dal santuario regio di Bethel; Osea critica i re del regno del Nord (“Hanno fatto dei re, ma non secondo il mio volere; hanno designato capi, ma a mia insaputa; con il loro argento e il loro oro si sono fatti idoli, perché fossero distrutti. Egli ha rigettato il tuo vitello, o Samaria. La mia ira è accesa contro di loro. Fino a quando saranno incapaci di purità? Anche questo vitello viene da Israele; un artigiano l’ha fatto e non è un dio; perciò il vitello di Samaria sarà ridotto in frantumi” Os 8,4ss). Questa opposizione jahwista riesce ad affermarsi solo temporaneamente contro la classe dominante: essa appoggia il colpo di stato di Jehu (841-813 a.C.), ma si tratta di un episodio isolato. Già Osea ritiene Jehu un assassino (“Allora l’Eterno gli disse: «Chiamalo Jezreel, perché fra un po’ di tempo vendicherò il sangue sparso a Jezreel sulla casa di Jehu e porrò fine al regno della casa d’Israele” Os 1,4) e rifiuta la sua rivoluzione.
La richiesta del culto esclusivo a YHWH, formulata per la prima volta nei secoli IX e VIII, è riconducibile ad un contesto sociale concreto: essa è in opposizione alla trasformazione della società in uno stato di tipo cananeo, compiuta dalla classe dirigente, che mirava a rafforzare il potere del ceto più elevato. Contro questi tentativi vengono recuperate le antiche tradizioni jahwiste.
Lo sviluppo in Giuda – relativamente arretrata – fu diverso. Anche qui si dovettero integrare città cananee, come Gerusalemme, conquistata solo ai tempi di Davide. Non si giunge tuttavia al conflitto tra YHWH e il dio di Gerusalemme El’Eljion (o altre divinità di Gerusalemme, come Zedek e Shalom). El e YHWH vengono identificati, e questo è il simbolo di un’integrazione sociale più pacifica tra israeliti e cananei nel regno del Sud. Il movimento jahwista non si manifesta come movimento di opposizione. Le sue richieste fondamentali: rimozione delle immagini cultuali, adorazione esclusiva di YHWH, concentrazione sul culto di Gerusalemme, divengono la base di riforme del culto da parte dello Stato , anche se queste sotto Ezechia (728-699 a.C.) e Giosia (641-609 a.C.) rimangono molto lontane dalle richieste della dottrina pura. Queste riforme furono probabilmente appoggiate dai profughi del Nord che, come l’opposizione jahwista, interpretavano il crollo del regno del Nord (721 a.C.) come castigo per la disobbedienza alle richieste del movimento jahwista: i grandi profeti di YHWH, Amos e Osea, avevano predetto la catastrofe. Dio ne aveva dato conferma, motivo per cui si poteva dedurre che il ritorno a YHWH avrebbe potuto salvare il pericolante regno del Sud. Lo jahwismo divenne così un programma di restaurazione, sostenuto da settori della classe dirigente. Anche là dove i grandi profeti jahwisti sembrano essere in solitaria opposizione nel regno del Sud, essi hanno il chiaro appoggio della classe dirigente. Geremia ha molti legami con un potente partito di corte; Isaia ed Ezechiele sono membri del ceto alto della società di Gerusalemme.
Importante è notare che questi gruppi dirigenti inseriscono nel loro programma anche le richieste sociali dello jahwismo. In Isaia risuonano i toni della critica sociale di Amos. Il Deuteronomio, le cui richieste fondamentali erano il nucleo centrale della riforma di Giosia, contiene molte leggi sociali. La forza del programma di riforma jahwista consisteva nel fatto che essa cercava di superare la spaccatura fra le classi, e si rivolgeva a tutti gli strati del popolo.
Il programma di restaurazione jahwistica non ebbe successo storico. Sotto Giosia, alcune richieste furono parzialmente soddisfatte. Ma anche questo rimane un episodio isolato. Nella fase finale del regno del Sud, il gruppo raccolto intorno al profeta di YHWH Geremia sembra essere un’esigua minoranza, che si oppone senza successo alla politica anti-babilonese degli ultimi re. Per quanto riguarda l’epoca anteriore all’esilio, si constata che è esistito un movimento jahwista monolatrico che però era una minoranza. Nel regno del Nord esso si presenta come movimento di opposizione “dal basso”; nel regno del Sud, come movimento di restaurazione “dall’alto”. In nessuno dei due casi ebbe successo. L’Israele anteriore all’esilio era nel suo complesso politeista, usava piccole immagini di divinità come amuleti, conosceva la prostituzione sacra, in breve tutto ciò che era “abominio” per il movimento jahwista.
Due fattori favorirono questo movimento jahwista: le situazioni di crisi nazionali e i conflitti sociali tra la cultura tradizionale e quella cananea.
1. Le crisi nazionali.
Le situazioni di crisi nazionali favorirono l’orientamento verso un Dio unico. Nell’ambiente del Vicino Oriente dell’AT esiste l’interessante fenomeno di una monolatria temporanea (una specie di enoteismo) in situazioni di crisi. Tutte le aspettative si indirizzano, in situazioni di emergenza, verso un’unica divinità . Israele viveva in una crisi costante, sia all’epoca dell’occupazione di Canaan, sia nel lungo periodo di decadenza politica, di fronte agli assiri che premevano sui confini nella loro espansione verso sud-ovest. La cronicità della crisi portò alla “cronicità della monolatria”. Da tener presente però che Israele poteva affrontare la crisi, fin dall’inizio, diversamente dagli altri popoli: il suo dio YHWH era il dio di coloro che erano fuggiti dall’Egitto. Era il dio dell’esule Giacobbe; era il dio dei Giudici, che salva il popolo di fronte ad una superpotenza militare. In breve: l’esperienza della crisi non contraddiceva il carattere del “dio YHWH “, e pertanto ogni crisi poteva rafforzare il legame con lui.
2. Conflitti interni.
Anche in epoche di politica estera più tranquilla, tuttavia, ci furono conflitti interni che portarono ad una rinnovata rivitalizzazione della fede in YHWH: il distacco dalla cultura cananea faceva risaltare la fede in YHWH come segno della propria identità. Israele non ha mai dimenticato che YHWH era un dio del deserto e dei nomadi. In questo risuona un ricordo di fatti veri, ma questo ricordo riceve tutto il suo peso soltanto in contrapposizione con la cultura cittadina di Canaan, cioè nella situazione contemporanea.
YHWH è considerato il dio del deserto; la sua dimora è nel Sinai (Giud 5,4 “O Eterno, quando uscisti da Seir, quando avanzasti dai campi di Edom, la terra tremò”; Dt 33,2: “Disse dunque: «L’Eterno è venuto dal Sinai e si è levato su di loro da Seir; è apparso nel suo splendore dal monte Paran…”). Sebbene egli sia il dio del paese e della nazione, egli sposta la sua “dimora” più lentamente rispetto agli israeliti suoi fedeli. Sion diventa soltanto gradualmente il suo “monte”. Il suo “insediamento territoriale” non è meno transitorio di quello degli israeliti, e non si cancella mai il ricordo che egli vive fuori del paese.
L’adorazione di YHWH da parte dei madianiti, degli “Shasu Jhw” e dei recabiti, che conservano le abitudini della vita nel deserto anche quando sono insediati nel territorio, mostrano il legame di YHWH con gruppi tribali nomadi. Israele non dimenticò mai di essere giunto nella sua terra come gruppo di nomadi, mentre per esempio il re moabita Mesa era convinto che i moabiti abitassero la loro terra da sempre , gli israeliti si raccontavano le storie dei patriarchi senza patria.

7. CONCLUSIONI.
a) Alcune tesi della scuola critica .
Dalla mole delle argomentazioni trattate e dalla disparità delle conclusioni a cui giungono i vari studiosi, scaturisce che la prima domanda da porsi è se i patriarchi Abramo, Isacco e Giacobbe siano personaggi storici. Gli studiosi che aderiscono alla teoria evoluzionista affermano che la discendenza dei gruppi etnici o delle nazioni da un unico uomo è, a qualsiasi livello storiografico, pura fantasia. Sostenendo tale tesi, urge chiedersi come apparvero queste figure patriarcali, problema questo che comporta due elementi: uno relativo all’origine dei fatti e dei personaggi nella narrazione, e l’altro all’origine dei nomi.
Comune alla maggior parte delle spiegazioni della scuola critica è la tesi secondo cui gli avvenimenti e le descrizioni di questi personaggi scaturiscono da una rappresentazione tardiva e idealizzata che il popolo di Israele fece di sé durante il periodo monarchico. Gli Israeliti erano fortemente consapevoli di essere diversi da tutti gli altri popoli e, quindi, si riconobbero in questi racconti.
Per quanto riguarda l’origine dei nomi, non esiste unanimità di vedute. Secondo alcuni, si tratta di tribù e la relazione di consanguineità fra questi personaggi riflette proprio le relazioni tribali. Gli spostamenti attribuiti ai patriarchi rappresentano i dislocamenti delle tribù e le loro migrazioni. Il massimo di storicità ammesso da questa teoria è che Abramo potrebbe essere stato il capo di una tribù (visir) che da lui prese il nome. Nonostante ciò dissolva la storicità dei patriarchi in senso tradizionale, da molti questa viene considerata una posizione ultraconservatrice, perché contempla ancora una base leggendaria degli avvenimenti. Rappresentante di questa posizione fu Dillman, considerato uno studioso conservatore.
Esiste una seconda teoria molto più estremistica, i cui propugnatori si ritrovano perlopiù tra le file dei critici wellhausiani, fra cui spicca Stade, che la elaborò. Secondo lui, i nomi di Abramo, Isacco e Giacobbe non avevano in origine niente a che fare con la storia genealogica degli ebrei, ma erano i nomi di personaggi cananei generati da alcune semidivinità cananaiche, che le tribù cananee consideravano loro antenati e che adoravano come tali in svariati luoghi. Quando occupò la terra di Canaan, Israele iniziò ad adorare nei luighi dove i cananei avevano reso per lungo tempo i loro culti, includendo nel proprio pantheon Abramo, Isacco e Giacobbe. Gradualmente, sentendosi a proprio agio in Canaan, gli israeliti iniziarono presto a sentire che quei luoghi sacri appartenevano anche a loro e che, pertanto, gli dei che vi si adoravano dovevano essere ebrei, non cananei. Per esprimere questa nuova coscienza e creare una sorta di diritto legale suoi luoghi, che avesse una qualche base storica, gli Israeliti escogitarono la leggenda secondo cui, in un periodo precedente, i propri antenati Abramo, Isacco e Giacobbe erano vissuti in Terra Santa, dove avevano consacrato quei luoghi. Così nel racconto genesiaco ad Abramo venne assegnato Ebron, ad Isacco Beer-Sceba, a Giacobbe Betel.
Una terza scuola di pensiero ha cercato di spiegare questi nomi in base a precedenti nomi babilonesi. Sara sarebbe la dea di Aran, Abramo un dio dello stresso luogo, mentre Labano il dio Luna. Le quattro mogli di Isacco rappresenterebbero le quattro fasi lunari; i dodici figli di Giacobbe i dodici mesi dell’anno; i sette figli di Lea i sette giorni della settimana; il numero di uomini con cui Abramo sconfisse gli invasori, 318, sarebbe il numero di giorni dell’anno lunare.
b) La storicità dei Patriarchi.
In risposta a queste diverse concezioni, si deve innanzitutto ribadire che la storicità dei patriarchi non può essere considerata una leggenda. Dal momento che la religione veterotestamentaria è basata su eventi, non è vero che si ricava la sgessa utilità da tutti questi personaggi, grazie alle lezioni desunte dalle loro storie perché, in definitiva, è la storia effettiva che conta. Se, secondo il principio pelagiano, tali leggende avessero lo scopo di trarre insegnamenti religiosi e morali, allora la storicità non sarebbe più di sostanziale importanza. Si potrebbe imparare le stesse lezioni da personaggi leggendari o mitici. Ma, secondo la Bibbia, essi sono attori reali del dramma della redenzione, l’inizio vero e proprio del popolo di Dio. Se i patriarchi non fossero delle figure storiche, e ciononostante volessimo attribuire loro una qualche verosimiglianza, sarebbe difficile spiegare perché questo dovrebbe iniziare con Mosè. Se prima di lui non si può parlare di storicità, allora il processo redentivo, fin dalle sue prime battute, si perde nelle nebbie della preistoria.
Per quanto riguarda la teoria dell’autoidealizzazione, essa non tiene conto di tutti i fatti. È lecito aspettarsi a priori delle somiglianze tra antenati e discendenti, ma la somiglianza ipotizzata su di una tale base non riunisce assolutamente gli elementi della descrizione in modo completo. La somiglianza di un popolo ed un suo patriarca è maggiore nel caso di Giacobbe, mentre non è così accentuata per gli altri due. Inoltre esistono delle differenze fra i patriarchi e Israele. Abramo raggiunse livelli di gran lunga superiori rispetto ad Israele. La fede, infatti, non fu mai una caratteristica di Israele come nazione. Wellhausen ha osservato che, nei documenti jahvisti ed elohisti, i patriarchi vengono raffigurati come se fossero controllati eccessivamente dalle rispettive mogli. Queste donne, secondo lo studioso, sembrano dotate di molto più carattere dei loro mariti. Sarebbe lecito chiedersi come i bellicosi Israeliti del primo periodo monarchico avrebbero potuto trovare i propri ideali espressi da tali personaggi: viene detto che Abramo sposò la sua sorellastra, azione questa tutt’altro che abituale nell’Israele degli ultimi tempi.
Neppure i nomi trovano una spiegazione soddisfacente nella personificazione delle tribù. Giacobbe è un nome regolarmente impiegato per indicare il popolo, mentre Isacco è utilizzato raramente in questo senso. Abramo non ricorre mai come nome tribale. Wellhausen lo riconosce ma adduce a pretesto che Abramo era una creazione della fantasia poetica e, come tale, fu oggetto di tutte le idealizzazioni possibili tanto da soppiantare Isacco e Giacobbe. L’etimologia mitologico-babilonese dei nomi non ha portato a nessun risultato decisivo. Lo ammette perfino Gunkel, il sostenitore più brillante dell’influenza babilonese sull’AT, riconoscendo che tutti i tentativi volti a dimostrare la derivazione etimologica dei nomi dei patriarchi dal pantheon babilonese on sono risolutivi. Nell’AT non c’è la benché minima traccia di un qualche culto riservato ai patriarchi; al contrario, viene posto più volte in evidenza che essi non erano oggetto di culto: “Il tuo primo progenitore ha peccato, i tuoi mediatori si sono ribellati a me” (Is 43,27); “Tuttavia, tu sei nostro padre; poiché Abraamo non sa chi siamo e Israele non ci riconosce. Tu, SIGNORE, sei nostro padre, il tuo nome, in ogni tempo, è Redentore nostro.” (Is 63,16).
Giacobbe significa “colui che prende per il calcagno o che soppianta”; Israele vuole dire “colui che lotta con Dio”. Eppure i due nomi continuano ad essere usati interscambiabilmente nella narrazione biblica. Non è così nel caso di Abramo: Abramo fu un nuovo nome conferito per esprimere un cambiamento nella sfera oggettiva, un destino assegnato da Dio.
In definitiva, la preistoria di Israele si intreccia con la storia delle popolazioni che abitavano la Palestina e l’Egitto, in un insieme di commistioni fra tribù e clan diversi ma che comunque avevano contatti fra loro. Nomi, luoghi, leggende, eventi posso essere confluiti insieme fino a dare ad Israele una identità come popolo. L’importante è che alla base di tali sommovimenti ci sia stata l’intuizione che Dio muoveva il tutto. Questa è la fede di Israele, questa è la nostra fede.

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